Capita che sullo stesso giornale - in questo caso il "Corriere" - ci siano articoli che fanno da staffetta l'uno con l'altro. E ne scrivo perché penso che siamo ormai a poche ore dalla scelta governativa, che condivido e predico da mesi, dell'obbligo vaccinale sui posti di lavoro per uscire da situazioni di ambiguità che aiutano solo il virus nel suo sporco lavoro. Su quali settori saranno interessati e quale ampiezza avrà la misura vedremo l'esito del Consiglio dei Ministri. Ormai, isolata nella scelta di lisciare il pelo ai "no-vax", è rimasta Giorgia Meloni all'opposizione per scelta elettoralistica con la sua strana Destra che non predica più ordine e disciplina, cercando invece di assecondare qualunque protesta senza più una logica.
Dicevo degli articoli. Uno è la riposta alla rubrica dei lettori di Aldo Cazzullo, che così scrive: «Resta un dato: vaccinarsi è un gesto di responsabilità sociale. Hanno fatto notizia i professoroni che si oppongono al "green pass", quindi di fatto - anche se loro negano - al vaccino: il "green pass" infatti è semplicemente un documento che attesta che si è fatto il vaccino, o si è guariti dal "covid", o si è fatto un tampone (possibilità che dovrebbe sparire, riservando i tamponi rapidi o meglio molecolari ai sintomatici che ne hanno reale necessità). Ma dietro il movimento che si oppone ai vaccini, più che la cultura dell'accademia (o dell'Arcadia), c'è il vittimismo narcisista della Rete, di chi si considera immune dalla realtà ed esposto ai complotti altrui. Un vittimismo narcisista cui abbiamo dato finora troppo spazio». Nella pagina a fianco Massimo Nava affronta un tema interessante e di grande attualità anche nell'assistenza domiciliare ai malati con una scelta avvenuta anche da noi di dare precedenza ai non vaccinati, che sono quelli che possono intasare l'ospedale e dunque farci passare a quel "rosso" che bloccherebbe molte attività economiche e sociali. Ecco Nava: «Il fatto che ovunque la stragrande maggioranza dei posti di terapia intensiva sia occupata da non vaccinati stravolge i termini del problema, poiché i non vaccinati, spesso ricoverati in condizioni gravissime, impongono di fatto un trattamento prioritario rispetto a tanti altri pazienti che pure sono bisognosi di cure urgenti o che sono costretti a rinviare interventi per mancanza di posti e personale nei reparti sovraccarichi. Si arriva in alcuni casi al paradosso che un "no-vax" grave abbia la priorità su un vaccinato immunodepresso. E' evidente che il medico - in base al "principio di Ippocrate" - non può scegliere, né tantomeno fare "triage" al contrario (prima i vaccinati, poi i "no-vax"), poiché atteggiamento e responsabilità sono imposti dall'andamento dei ricoveri e dalle condizioni del malato, a prescindere che sia vaccinato o no. Situazione oggettiva che dovrebbe invece chiamare in causa la galassia dei "no-vax", sia come cittadini che rifiutano il vaccino, sia soprattutto quando diventano pazienti bisognosi di cure. In uno stato democratico, il cittadino "no-vax" invoca il diritto individuale a non vaccinarsi e denuncia discriminazioni in conseguenza delle regole sui "green pass". Ma quando invoca il diritto alla salute, i conti non tornano. Nelle terapie intensive intasate di non vaccinati, il "giuramento di Ippocrate" è violentato: a loro vantaggio». Bisogna aggiungere qualcosa?