Bisognerebbe scrivere sulla roccia che le Olimpiadi invernali a Pechino, dove ci sono già state quelle estive (e questo dice tutto), sono una vergogna. Direi l'apice di Olimpiadi cittadine che c'entrano con le montagne come i cavoli a merenda, come sarà per Milano con appendice Cortina ed altre località. Le prime Olimpiadi invernali furono a Chamonix ed era così che doveva continuare, senza il gigantismo che porta questi Giochi in pianura o in "montagne del piffero" come quelle cinesi, dove la neve naturale non la vedono da tempo immemorabile. In più come diritti umani la Cina ormai dovrebbe essere boicottata dalle democrazie occidentali, se non fossero prone per motivi di bottega con chi non vede l'ora di esportare nel mondo la loro dittatura.
Esemplare il circostanziato commento di Giulia Pompili su "Il Foglio", da cui traggo qualche spunto. L'inizio è da incorniciare: «Il motto dei Giochi olimpici invernali che si apriranno il 4 febbraio prossimo a Pechino è "Insieme per un futuro condiviso", ma il megaevento sportivo cinese sembra sempre di più motivo di divisioni e controversie, non solo internazionali. Niente di nuovo: anche quando vengono organizzate da paesi democraticissimi, le Olimpiadi si portano dietro parecchi problemi». Per inciso ricordo il recente intervento della Corte dei Conti sulle Olimpiadi torinesi del tempo che fu per una serie di infrastrutture lasciate lì inutilizzate e non è una novità per le sedi dei Giochi. Prosegue la giornalista: «"I Giochi olimpici non riguardano la politica", ha scritto l'anno scorso in un editoriale sul "Guardian" Thomas Bach, fiorettista tedesco e dal 2013 presidente del Comitato olimpico internazionale. Ma è ovvio che intendesse l'esatto contrario (del resto, più in là aveva pure scritto che "i Giochi Olimpici non riguardano il profitto"): le Olimpiadi sono la politica interazionale al suo meglio. Piuttosto, sono gli atleti a essere le vittime di un meccanismo infernale, fatto di potere politico, sponsor, soldi e una carriera intera messa alla prova da una singola gara». Insomma: gli atleti finiscono per essere marionette a gareggiare i posti improbabili come Pechino. Pompili annota sulla Cina: «Xi ha "abolito la povertà" nel 2021, ma ha "depurato" Internet da tutte le attività che promuovono il pensiero critico: "Come segno di buona volontà in vista delle Olimpiadi del 2008", scrive Dou, "Pechino ha sospeso la censura su "Wikipedia" e "Youtube" e ha allentato alcune restrizioni sui giornalisti stranieri. Molto è cambiato da allora. Da quando Xi è salito al potere, il suo governo ha costantemente aumentato le restrizioni alla libertà di parola, alla protesta politica e ai media". I dettagli sullo show d'apertura sono top secret, ma "è una cerimonia a cui nessuno dovrebbe mancare per nessun motivo" ha detto il regista. Una straordinaria vetrina della propaganda cinese a cui, però, in pochi potranno partecipare dal vivo. Al boicottaggio diplomatico americano, infatti, si sono poi uniti altri paesi: l'Australia, il Regno Unito, il Canada, e poi Belgio, Lituania ed Estonia. Altri governi hanno deciso che comunque non manderanno delegazioni oltre a quelle sportive per via del covid - a molti è sembrata una scusa per non pronunciare la parola "boicottaggio", ma tant'è: sono Austria, Slovenia, Svezia, Paesi Bassi, Nuova Zelanda. Ieri il Ministero degli Esteri di Pechino ha annunciato la lista dei dignitari stranieri, dei capi di stato e delle organizzazioni internazionali che saranno presenti alla cerimonia d'apertura, e il primo nome menzionato dal comunicato è quello del presidente russo Vladimir Putin. Poi ci saranno i leader dei paesi dell'Asia centrale: il presidente del Kazakistan Kassym- Jomart Tokayev, il presidente del Kirghizistan Sadyr Japarov, quello del Tajikistan Emomali Rahmon, quello del Turkmenistan Gurbanguly Berdimuhamedov e quello dell'Uzbekistan Shavkat Mirziyoyev. E gli amici, diciamo così, ideologici di Pechino: il presidente egiziano Abdel Fattah Al-Sisi, il principe saudita Mohammed Bin Salman Bin Al Saud, l'emiro del Qatar Tamim Bin Hamad Al Thani, il principe ereditario e ministro della Difesa di Abu Dhabi Mohammed Bin Zayed Al Nahyan, il presidente polacco Andrzej Duda e il presidente serbo Aleksandar Vui. Alla fine la Corea del sud invierà "soltanto" lo speaker del Parlamento, mentre l'Azerbaigian il viceministro. Nessuno dal Giappone ma nemmeno dalla Turchia – economicamente molto vicina a Pechino - per via della delicata questione della repressione, da parte della Cina, della minoranza turcofona degli uiguri. E invece saranno presenti alla cerimonia d'apertura il presidente del "Cio" Thomas Bach ma anche il direttore generale delle Nazioni Unite António Guterres, e perfino il direttore generale dell'organizzazione mondiale della sanità Tedros Adhanom Ghebreyesus, che andò anche all'apertura di Tokyo 2020, poi diventato Tokyo 2021, come simbolo di garanzia di un evento sanitariamente sicuro. La questione del boicottaggio è estremamente delicata, e lo è anche per l'Italia, che a Pechino dovrà fare il passaggio della torcia olimpica verso Milano-Cortina 2026. Alla cerimonia d'apertura avrebbe dovuto esserci, come rappresentante dell'esecutivo, Valentina Vezzali, sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio con delega allo sport, che però è risultata positiva al virus Sars-Cov- 2. Ci sarà il presidente del "Coni" Giovanni Malagò, già in partenza per Pechino. Ma al di là degli equilibrismi la questione è soprattutto politica: mettersi contro la Cina conviene?». La riposta direi è che serve a poco e sulla Cina si vergognano anche gli sponsor. Dice la giornalista: «Ed è una trappola anche per gli sponsor e i finanziatori: oggi quasi tutti i grandi eventi sportivi sopravvivono anche grazie alla presenza di sponsor cinesi, ed è esattamente così che funziona il meccanismo dell'autocensura che Pechino conosce alla perfezione. Un'analisi della "Bbc" dimostra "una drastica riduzione dei tweet degli sponsor globali che si riferiscono ai Giochi olimpici rispetto a quelli estivi dello scorso anno a Tokyo". E' vero che le Olimpiadi invernali sono generalmente meno seguite di quelle estive, ma per gli sponsor internazionali mettere il volto su Giochi così controversi è scivolosissimo: "I partner internazionali ufficiali delle Olimpiadi sono "Airbnb", "Alibaba", "Allianz", "Atos", "Bridgestone", "Coca-Cola", "Intel", "Omega", "Panasonic", "Procter & Gamble", "Samsung", "Toyota" e "Visa". A parte "Allianz", sono stati tutti partner anche per Tokyo 2020. In vista delle Olimpiadi in Giappone, molti partner hanno spinto contenuti collegati sui social media, esaltando i Giochi. Eppure, a oggi, quegli stessi account menzionano a malapena Pechino 2022"». Il contesto della vergogna globale mostra la crisi delle Olimpiadi e non solo di quelle invernali.