È sempre difficile spiegare che cosa abbia rappresentato e che cosa possa rappresentare per la Valle d’Aosta la presenza della piccola e particolare enclave germanofona della Valle del Lys. Mi riferisco alla lunga storia a partire dagli insediamenti delle colonie walser nelle zone alte di Issime e nei due Gressoney che vengono datati fra il 1100 e il 1200, chiamati a colonizzare i beni del capitolo di Saint-Gilles e gli alpeggi della Chiesa di Sion. Sono molto fiero di aver fatto inserire nello Statuto di autonomia nel 1993 un articolo, riparatorio rispetto al testo del 1948, che riconosce i walser dal punto di vista giuridico. Si tratta dell’articolo Art. 40bis, che contiene grandi potenzialità ancora inespresse e che così afferma: “Le popolazioni di lingua tedesca dei comuni della Valle del Lys individuati con legge regionale hanno diritto alla salvaguardia delle proprie caratteristiche e tradizioni linguistiche e culturali. Alle popolazioni di cui al primo comma è garantito l'insegnamento della lingua tedesca nelle scuole attraverso gli opportuni adattamenti alle necessità locali”. Su quest’ultimo punto non si è fatto abbastanza. Ma in questa occasione vorrei parlare di un libro, che va letto non solo perché racconta l’epopea di una famiglia walser trasferitasi a Biella, ma perché nel farlo viene magistralmente descritta la comunità walser e la sua capacità di avere contatti economici e commerciali con il mondo germanico. Mi riferisco a “La salita dei giganti. La saga dei Menabrea” (edito da Feltrinelli) dello scrittore milanese Francesco Casolo, che è anche docente di Storia del cinema e autore di testi molto vari, alcuni dei quali già vicini ai temi della montagna. Con una grande capacità di approfondimento e sfuggendo all’agiografia, questa saga di una famiglia di imprenditori ma con un vasto spazio alle donne narranti, dimostra una straordinaria empatia verso il popolo walser nel descrivere un tratto della vita dei Menabrea. Sono loro, con soci biellesi, che fondarono l’omonima birreria nel 1846 a Biella, società che oggi - pur avendo ancora legami parentali con chi ne diede la nascita - fa parte del gruppo Forst. Ma non ci sono solo i Menabrea nella coralità del racconto, ma ci sono gli Squindo, i Thedy, gli Zimmermann. Citato nel libro c’è il celebre Anton, birraio in Aosta, sepolto nel cimitero di Sant’Orso di Aosta a due passi dalla mia bisnonna walser Herminie - Marie Antoinette De La Pierre - Zumstein del ramo Danielsch. Il libro descrive la vita dei Menabrea, con gioie e dolori, speranze e delusioni, ma ciò avviene ricordando non solo gli intrecci parentali e gli sviluppi imprenditoriali, ma anche la vita vissuta a Gressoney, della strada carrozzabile che muta e cambierà la vita dei gressonari, dei legami con la Germania attraverso i colli, che mostrano la rete del popolo walser e dei loro commerci. Molto ruota attraverso la celebre Tremertal o Kramerthal, la Valle dei mercanti nel legame fra Valle di Gressoney e la Valle s’Ayas verso poi la Valtournenche e del valico alpino oggi abbandonato del Colle del Teodulo. Siamo in quello spazio straordinario che abbraccia il Monte Rosa sino al Cervino e di cui Biella è di fatto un territorio integrato sempre nella logica intervalliva, come spiega bene il libro perché il sentiero da Piedicavallo a Gressoney-Saint-Jean fu finanziato proprio dai Menabrea. Usi e costumi, compresi il dialetto Titsch, compaiono nel libro ad illustrare la ricchezza culturale dei walser in un contesto di vicende familiari con la birra e la sua lavorazione come una delle protagoniste con apposite descrizioni. Un’antica bevanda che diventa tradizione walser che porta dei Beck Peccoz a vivere in Baviera e a produrre ancor l’ottima Kühbacher, che ho bevuto all’Oktoberfest a Monaco e ogni anno al Patrono San Giovanni di Gressoney-Saint-Jean. Spero che il bel romanzo venga letto dai giovani walser e che contribuisca alla fierezza identitaria di questo nostro piccolo popolo che vive anche in altre parte delle Alpi. La salvaguardia della loro cultura è un loro e nostro dovere.