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07 set 2022

La pagina bianca

di Luciano Caveri

Esiste la “pagina bianca” associata al cosiddetto "blocco dello scrittore", cioè alla paura di certi scrittori dinanzi alla pagina completamente vuota, quando devono cominciare a scrivere e non ci riescono in un blackout intellettuale e emotivo. Per carità, non voglio affatto comparare il mio quotidiano esercizio di scrittura - un cimento cui nessuno mi obbliga e dunque mi sono scelto - a chi scrive davvero pagine e pagine di vere opere letterarie. Il mio alla fine é una sorta di diario in cui annoto di tutto e la sfida di esserci ogni giorno mi smuove dal rischio della pigrizia e credo che serva a non arrugginire le mie rotelle e l’esercizio fa bene a tutte le età. Di questi tempi non é tanto facile farlo e, senza aver paura della pagina bianca che pure ovviamente si riempie bene o male secondo gli argomenti e gli umori (non tutte le ciambelle riescono con il buco…), ci sono giorni in cui ho anche io nel mio piccolo una specie di blocco. Non sono le preoccupazioni o i problemi che la vita ti pone di fronte, che certo influenzano anche gli scritti, la scelta dei temi e pure la scrittura, quanto un clima generale che ci avvolge tutti e che crea apprensioni e impone purtroppo chiodi fissi che ci riguardano come singoli e come componenti - uso un parolone - della società. Ho il privilegio, come politico chiamato anche a fare l’amministratore e viceversa, di avere un luogo di osservazione particolare, incontrando ogni giorno molta gente e dunque i loro pensieri incidono sui miei e non sempre a titolo di consolazione. Il mio compito, nelle deleghe che ho nel mio lavoro e che spaziano in diversi settori, è di dovere in sostanza risolvere questioni impellenti e, quando riesco, a progettare cose nuove, sorvegliando assieme l’ordinarietà della mia azione di governo e di quella degli altri, visto la logica collegiale di molte decisioni. Tutto diventa più difficile quando il contesto generale, come di questi tempi, è avvelenato dalle molte preoccupazioni - di cui vi risparmio l’ennesimo elenco, avendone tutti contezza - che rallentano le nostre vite e non colorano di rosa i nostri orizzonti. Odio il pessimismo che serve solo a porsi in una posizione di partenza sfavorevole e agitano le nostre notti di fantasmi che si ingigantiscono. Ha scritto Francesco Alberoni: “Il pessimista ha uno straordinario potere di contagio. Talvolta basta incontrarlo al mattino, per strada, e, in poco tempo, vi trasmette tutta la sua negatività e la sua passività. Ci riesce sfruttando alcune tendenze presenti in tutti noi e che non aspettano altro che di essere svegliate e potenziate”. Già, è proprio così. Esiste e in parte lo constato con una rischio di contagio, parola che purtroppo in questi anni ci accompagnato con la sua alea non certo favorevole e che ci ha messo su un continuo chi vive e questa situazione non ci ha aiutati di certo. Così ogni tanto la pagina bianca si tinge anche per me di scuro e francamente mi preoccupo, perché il rischio della cupezza, che ti rende il mondo in bianco e nero, non ha mai fatto parte del mio carattere. Anzi, sono sempre stato solidale e vicino a chi vedeva la vita con il freno a mano tirato, che fosse un passaggio sfortunato o peggio una malattia che incide. E sappiamo bene come - lo dicono quelli che curano le malattie della mente e dell’anima - che molti malesseri e tanti mali di vivere prosperano quando il quadro generale preoccupa e pesa sulle nostre esistenze. Allora troviamo una leva e penso nella sua secchezza a quanto scrisse chi seppe governare periodi terribili, come il bizzarro Winston Churchill: “Il pessimista vede difficoltà in ogni opportunità. L’ottimista vede opportunità in ogni difficoltà”.