Essere cittadini a pieno titolo, che esercitano i propri diritti ma sono capaci ad affrontare i propri doveri e non per le sole costrizioni giuridiche, ma anche per motivi morali. Questo è avvenuto in epoca di pandemia e lo ha fatto larga parte della popolazione, anche quando certe regole erano difficili da digerire, se non talvolta incomprensibili. Il senso del dovere, di fronte alle emergenze, paga. Chi ha deciso altrimenti ha fatto scelte che non condivido, violando i principi di convivenza. per inseguire niente altro che teorie bislacche. Mauro Magatti lo ricorda, evocando la prossima e in parte già in corso, emergenza nel settore energetico. Così scrive sul Corriere della Sera: “Lo avevamo già visto col Covid: esiste una stretta relazione tra la regolazione statale e la responsabilità individuale. Una relazione che nell’emergenza sanitaria (uso corretto della mascherina, osservanza della quarantena, rispetto del metro di distanza, adesione alla campagna vaccinale etc.) ha suscitato fortissime polemiche, sfociate poi nelle tensioni registrate con i no vax. Oggi di fronte al caro energia si ripete lo stesso copione: il programma del ministro sarà applicato? Chi ne controllerà l’esecuzione? Quale sarà la partecipazione popolare? Il punto è tutt’altro che banale. Per gestire la complessità dei problemi della supersocietà, il cittadino — inteso come persona libera, intelligente e responsabile — è chiamato a dare il proprio contributo per affrontare questioni che nessuno — né lo Stato né il mercato — da solo è in grado di risolvere”. Insiste poi: “Il problema è che questo passaggio è tutt’altro che automatico: nel corso del tempo l’idea che il cittadino possa essere chiamato a metterci del suo per risolvere i problemi collettivi si è persa per strada. Ridotto a consumatore, portatore di istanze sui diritti individuali e di bisogni di assistenza statale, il cittadino contemporaneo è per lo più un richiedente. E certo non si pensa come qualcuno a cui spetta una parte delle cose da fare” Di fronte alla crisi energetica e alla mobilitazione civile dei cittadini si segnalano tre questioni: “La prima riguarda il piano della comunicazione. È necessario fornire indicazioni chiare e coerenti su quello che è utile fare per raggiungere gli obiettivi comuni. Nel breve e nel lungo termine. Nei giorni della pandemia non sempre questo è successo, e spesso sconcerto e confusione hanno prevalso. (…) La seconda condizione è di ordine politico. Il contributo individuale ha senso — e dunque si rafforza — se si colloca nel quadro di uno sforzo collettivo che viene verificato e misurato. Non basta indicare gli obiettivi da raggiungere insieme, occorre anche verificare che siano effettivamente perseguiti. Inoltre, prima di moltiplicare gli obblighi — strada che espone a tutta una serie di problemi — vale la pena pensare di introdurre delle premialità per chi aderisce alla campagna del risparmio energetico. Da questo punto di vista vanno benissimo i sussidi e gli aiuti ai più deboli. Ma a condizione che non si alimenti l’idea che alla fine il problema si risolva semplicemente scaricando i costi sulle spalle dello Stato. Infine, il contributo di ciascuno va iscritto in una cornice di giustizia. A muoversi nella direzione auspicata devono essere dunque prima di tutto le istituzioni pubbliche (la scuola, le amministrazioni statali e locali, etc), coloro che hanno responsabilità politiche o amministrative, i grandi soggetti economici”. Condivido i pensieri finali dell’editoriale: “La figura del «cittadino contributore» è un pezzo della risposta: noi non siamo solo «contribuenti» quando paghiamo le tasse, ma siamo anche «contributori» quando partecipiamo attivamente alla realizzazione di quel valore condiviso (una volta di chiamava bene comune) che permette di rispondere prima e più in fretta alle sfide delle emergenze che ci troviamo a dover affrontare. Un contributo che va riconosciuto e valorizzato”. Concordo e rilancio: questo è uno dei capisaldi del pensiero federalista.