La politica in democrazia, attraverso un lungo processo storico, si fonda oggi sul confronto regolato fra le parti. Il caso più evidente – e l’ho sperimentato vivendoci dentro – avviene nelle assemblee parlamentari, dove i regolamenti canalizzano discussioni e decisioni. Per me, dovunque ho avuto ruoli elettivi, è stata un’esperienza interessante dentro i meccanismi più minuti. Per questo mi sono sempre sentito in prima linea per difendere il buono delle organizzazioni politiche e delle istituzioni democratiche contro l’antipolitica e l’antiparlamentarismo. Senza avere naturalmente paura di segnalare quanto non funziona, il malaffare, le inefficienze. Nella dialettica politica quel che mi è sempre stato insopportabile è la categoria dei manipolatori, che rovesciano la realtà, sguazzano nelle polemiche, costruiscono castelli in aria e il loro naso diventa quello di Pinocchio. Di questi tempi – e i lettori più attenti lo avranno rilevato – trovo utile scavare nelle parole, che spesso usiamo avendone perso il senso più arcaico, che in qualche modo si appanna nell’uso. Così è per manipolatore e per il verbo manipolare. Sul sito unaparolaalgiorno c’è una spiegazione avvincente: “Se ci immaginiamo il ‘manipolare qualcuno’ quale esito figurato di azioni come manipolare l’argilla, e quindi come un’azione che plasma, siamo un pochino fuori strada. Anche in questo caso la via più breve non è quella giusta, e la tappa intermedia più accreditata è sorprendente. Non ci stupiamo a leggere che il termine ‘manipolo’ ci parla di una manciata: è una voce dotta recuperata dal latino manipulus, un composto di manus e del tema del verbo ricostruito (cioè con tutta probabilità esistito ma non attestato) plère ‘riempire’. Una ‘mano piena’, anzi una quantità che riempie una mano — non un sacco, non una briciola. Ora, nel latino medievale usato da medici e farmacisti questo manipulus ha acquisito un significato molto preciso: sempre una manciata, ma una manciata esatta (quasi un’unità di misura) di erbe medicinali da lavorare. Quindi il manipolare ci parla di un’azione che è più da farmacista o da alchimista piuttosto che da scultore”. Apro una parentesi: a me “manipolo” faceva venire in mente la più piccola entità della Milizia fascista e non altro e ciò per semplice lettura storica. Nell’uso della parola originale vi è poi una svolta, che passa dalla manciata alla mano, così come si spiega: “Ma non è una derivazione pulita (anzi i più dotti notano molti punti di sbavatura): come avviene nel nostro lessico mentale, che ci fa subito immaginare il manipolare come un maneggiare, lavorare maneggiando e plasmando coi pollici, sul significato originale del manipolare ha subito pesato il termine mano (siamo negli ultimi anni del Seicento). Non è rimasto un ‘lavorare i manipoli di erbe’, ma ci ha aggiunto il profilo di un modellare, un impastare — e allora manipolo la cera per scaldarla e sigillarci un collo di bottiglia, manipolo il pongo per foggiare il tuo viso (più o meno), e la pasta frolla va manipolata il meno possibile”. Il manipolare infine diventa cattivo e con questo si chiude il commento: “Chi cerca di manipolarci, suggerendoci realtà artate per suscitare reazioni previste, chi col falso e il conveniente ci fa muovere nella posizione che vuole, chi tende nascostamente i fili delle nostre amicizie e inimicizie a suo pro, non sta agendo fisicamente su di noi. Agisce con sottigliezze da alchimista, con alterazioni farmaceutiche che contraffanno percezioni e determinazioni, ci condiziona e controlla come nella discreta lavorazione di un composto. Certo una parola complessa, ma come potrebbe non esserlo? Dopotutto, la passione per il manipolare accomuna pargoletti che non parlano e politici machiavellici”. E qui torniamo da capo e a chi manipola non tanto i propri pensieri, ma i pensieri e le azioni degli altri e pure stravolge la ricostruzione di fatti e vicende solo a proprio beneficio. Il manipolatore - che mai è corretto avversario - resta per me, sempre più, un essere odioso.