Esistono argomenti scivolosi, che vanno trattati in punta di piedi o meglio in punta di penna, per non prestare il fianco alle critiche. Parliamo di alcol, che fa solidamente parte della cultura valdostana e questo - se il consumo è consapevole - non è un danno, lo diventa anche tragicamente in caso di abuso e di dipendenza finale. Per cui è interessante verificare l’impatto sulla nostra società degli usi e anche degli abusi e rispetto al passato anche per la piccola Valle d’Aosta è utile vedere l’impatto di mode e tendenze che ci invadono “allegramente”. Mi ha molto divertito leggere di una nuova moda nel racconto suggestivo di Giulio Silvano su Il Foglio: “Se in Giappone il governo è costretto a invitare la generazione Z al consumo di alcolici per raccogliere un po’ di tasse sul sake negli Stati Uniti esplode la moda del cocktail con la marijuana, senza alcol ma con dentro il Thc. Basta gin e vodka, solo indica e sativa per i giovani, che vogliono rilassarsi senza innervosirsi, che vogliono fare gli aperitivi in compagnia senza il rischio di risse nei pub, agevolati dall’apertura alle canne legalizzate. Ma cosa sarebbe il mondo oggi senza Bacco, senza il nettare della fermentazione?”. Viene citato il libro di Edward Slingerland, prontamente acquistato perché sono stato attirato dal titolo “Sbronzi. Come abbiamo bevuto, danzato e barcollato sulla strada della civiltà”, pubblicato in Italia da Utet. Dice il giornalista: “L’alcol non fa necessariamente sempre bene – coma etilico, dipendenza, gastriti, epatiti, cirrosi, tromboflebiti etc. etc. – ma, come scrive Slingerland, “per essere sopravvissuta così a lungo, e per aver mantenuto un ruolo centrale nella vita sociale dell’uomo, i vantaggi dell’ebbrezza – nel corso della storia umana – devono aver superato le conseguenze negative più ovvie”. Il lato oscuro di Dioniso, che esiste, non è comunque abbastanza forte da vincere il lato luminoso dell’annebbiamento, quello dell’ebbrezza, della scintilla dell’ingegno, come possono dimostrare tanti scrittori e poeti, da Verlaine a Hemingway, da Poe a Baudelaire”. Ora, non si tratta di esaltare l’alcol o di neppure, per contro, di magnificare la scelta degli astemi, ma di segnalare l’antichissima scelta dell’umanità di avere dell’alcol un uso plurimo e talvolta geniale, che ha assecondato differenze culturali e territoriali. Scherza ma non troppo Silvano, scrivendo: “La storia insomma sarebbe ben diversa se i nostri progenitori non avessero capito la bellezza della fermentazione. Sembrerebbe che in molte parti del mondo la produzione di bevande alcoliche, birra in particolare, abbia preceduto l’agricoltura di migliaia di anni. Ad esempio nelle Americhe, molto prima che si riuscisse a coltivare il mais, veniva cresciuto il teosinte, da cui si ricavava una farina terribile, ma un ottimo alcolico. La birra era più importante del pane. L’happy hour esisteva ben prima della scrittura. Il lavoro di Slingerland, tenendo in considerazione le diverse discipline, dalla neuroscienza cognitiva alle scienze sociali, dalla genetica alla psicofarmacologia, dimostra che nei millenni l’intossicazione ha aiutato l’essere umano ad alleviare lo stress, a stimolare la creatività e, soprattutto, a socializzare, il primo passo necessario per passare da tribù a città. Federico di Prussia rimase inorridito quando vide che i suoi soldati bevevano caffè e scrisse in un proclama “il mio popolo deve bere birra”, che aiutava il morale e univa gli animi. Ma già tra celti, anglosassoni e germani le bevute e i banchetti servivano a rinsaldare i legami tra i guerrieri. Importante anche il fatto che l’alcol aiutasse a dire la verità, e a creare quindi fiducia tra diverse tribù, e “la socialità ruota intorno alla fiducia”. E ancora: “Dalla Cina alla Grecia, dall’Egitto a Israele, le antiche civiltà poi non possono prescindere dai rituali alcolici, dal sacrificio e dal cin-cin. E non c’è rituale, non c’è danza, senza un disinibitore, che sia un grog millenario tra i dolmen o un mojito in discoteca. Già nel neolitico in Turchia troviamo rappresentazioni grafiche dell’estasi sul vasellame, nelle tombe dell’armenia troviamo i calici. Il primo miracolo di Gesù, il gesto attraverso il quale mostra i suoi superpoteri divini, è la tramutazione dell’acqua in vino, necessario per continuare i festeggiamenti al matrimonio – trasformando l’acqua in vino “manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui”, dice il Vangelo di Giovanni. Secondo Christopher Hitchens è l’unico miracolo meritevole del Nuovo testamento e, aggiungeva sul tema: “L’alcol rende le altre persone meno noiose, e il cibo meno insipido””. Ovviamente modus in rebus. Mai esagerare e far precipitare la propria vita nel bicchiere se diventa vizio. Ci scherzava lo scrittore Robert Musil: “Se avete intenzione di affogare i vostri problemi nell’alcol, tenete presente che alcuni problemi sanno nuotare benissimo”.