L’Italia è indubitabilmente il Paese dei Tribunali delle diverse giurisdizioni che incombono sulle vite nostre e della nostra comunità. Giusto in democrazia, ma talvolta… Pensiamo al Casino di Saint-Vincent e alle vicende penali che hanno nei diversi decenni stroncato carriere e vite e, in certi casi lontani e più recenti, ci sono infine state sentenze assolutorie o all’acqua di rose di Cassazione e persino chiusure tombali sulle accuse assunte della Corte Costituzionale per mettere ordine e ripristinare tardivamente la verità. Sempre per la casa da gioco c’è una causa civile pendente da 30 anni che appare e scompare senza una sentenza definitiva. Alcune vicende - penso ad una causa delle Ferrovie contro la Regione - interessano cifre enormi e chissà come finirà tra qualche anno. Per non dire di sentenze di diritto del lavoro che pesano sulle casse regionali anche quando il contratto è nazionale e Roma si comporta diversamente da come noi dobbiamo fare forzatamente. Ne possiamo sorridere rassegnati di questa Giustizia spesso a lungo termine, se la questione interessa gli altri e non noi, la nostra esistenza e i nostri interessi personali. Non scaverò ulteriormente perché tanto sappiamo tutti come funziona e come si rischi grosso se si finisce nella rete di qualche vicenda, che se finisce comunque a lieto fine, intanto ti stronca. C’è chi controlla in maniera così minuta certe vicende amministrative da causare ormai la tentazione del dolce far niente nel settore pubblico per evitare di finire nel tritacarne e con il portafoglio vuoto già solo per difendersi. Io in cause penali in 65 anni di vita ci sono finito due volte, uscendone lindo come un neonato, ma con preoccupazioni evidenti e costi nelle spese legali, che si potevano evitare con un minimo di buonsenso da parte di chi costruì castelli in aria. Ecco perché oggi per distrarmi parlo di un caso lieve e non greve, che si svolge - per questo mi stuzzica - in alta montagna. Lo riporta con ironia Il Foglio, con un articolo firmato da Alberto Mattioli, ed è una vicenda che si svolge dall’altra parte delle Alpi. Ecco l’incipit: ”Alla fine il Trentino ha spezzato le reni al Veneto con l’arma decisiva di ogni contenzioso italiano: il Tar del Lazio. I giudici hanno sentenziato che l’intero ghiacciaio della Marmolada, o quel che ne resta dato che per i ghiacciai sono tempi cupi, rimane nel comune di Canazei, quindi in Trentino, tranne le stazioni della funivia di Punta Rocca e Serauta che appartengono al comune di Rocca Pietore, provincia di Belluno, e quindi sono in Veneto”. Poi si riavvolge il nastro: “La storia è degna dello Strapaese longanesiano, lunghissima e inutilmente complicata. Riassumendo, tutto inizia nel 1973, quando Canazei iniziò a fare dell’irredentismo chiedendo una rettifica del confine in modo da annettersi tutto il ghiacciaio. Nel 1982, il Consiglio di stato diede ragione ai trentini e Sandro Pertini sancì la rettifica con un decreto presidenziale. Seguirono gli immancabili ricorsi e controricorsi, le polemiche, i mandati del ministero dell’interno al Catasto e all’istituto geografico militare per delimitare il confine una volta per tutte, e perfino, nel 2002, un accordo “internazionale” fra il presidente della regione Veneto, Giancarlo Galan, e quello della provincia autonoma di Trento, Lorenzo Dellai, per chiudere amichevolmente la questione. Tutto inutile. Intanto gli immancabili eruditi locali facevano riferimento al verdetto della commissione internazionale che nel 1911 aveva avuto l’incarico di definire il confine fra il Regno d’italia e l’austria-ungheria, lasciati sul vago dopo la guerra del 1866, quando perdendola vincemmo il Veneto. Ma in questa furibonda disputa storicotopografico-amministrativa-campanilista c’era anche chi faceva riferimento ad accordi stipulati fra l’imperatrice e Regina Maria Teresa e la Serenissima Repubblica, giusto per prenderla larga ma senza dover risalire ai tempi del principe vescovo di Trento, dei longobardi, dei romani, dell’uomo delle nevi. Anche Luca Zaia aveva messo le mani nella Marmolada, nel 2018, convocando un Consiglio regionale veneto sul cucuzzolo con gran rinforzo di giornalisti e di bandiere con il leone di San Marco per ribadire che la Marmolada era storicamente veneta e veneta doveva restare (fu comunque una gita divertente, par di ricordare anche con un buon capriolo con la polenta…). E poi la battaglia dei ghiacci è andata ancora avanti, accanitissima e futile. E dire che Voltaire definiva con nonchalance il Canada (tutto quanto, mica una montagna) “pochi arpenti di neve…” “. Ora l’epilogo: “Adesso la riffa giudiziaria vede vincitore il Trentino, dopo che il Tar ha unificato in un’unica sentenza i due ricorsi opposti che ancora pendevano, quello della Regione Veneto e quello del Comune di Canazei. E ha dato ragione postuma a Pertini, il cui decreto del faustissimo anno 1982, quello di Zoff-gentile-cabrini, sancì i confini che oggi sono confermati. Dalla parte trentina si gode, da quella veneta si piange. Sul Corriere del Veneto, il sindaco di Rocca Pietore, Andrea De Bernardin, protesta tirando in ballo le sacre memorie della Grande guerra, quando ci si batté proprio sulla linea del 1911: “Non mi piace pensare che un decreto, per quanto firmato da un Presidente della Repubblica, abbia più valore del sangue versato su quella frontiera”, e in effetti i trentini allora combattevano dall’altra parte, anche se per la verità furono spediti a farlo in Galizia, contro i russi. Però ai veneti resta il premio di consolazione, le due stazioni della funivia, anche se la pista da sci è del nemico; dunque, si sale in Veneto e si scende in Trentino. Infatti Il Gazzettino patriotticamente titola in prima pagina: “Marmolada, la funivia resta al Veneto”, meglio che niente. E adesso? Posto che un contenzioso che dura da mezzo secolo è durato abbastanza, anche per i tempi biblici della giustizia italiana, e che la sentenza del Tar è definitiva, non resta che l’opzione militare. Ricordate il “tanko” dei serenissimi, la colonna etilica dell’indipendentismo veneto, all’assalto di piazza San Marco? Zaia lo spedisca a occupare la Marmolada, e facciamola finita”. Si sorride amaro e viene in mente il contenzioso sulla cima del Monte Bianco con la Francia che rivendica quanto indubitabilmente si trova, per antichi trattati, in territorio valdostano. Ma se ne occupano le diplomazie dei rispettivi Paesi, che dormono sonni tranquilli e noi - che consideriamo il Bianco europeo - anche!