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18 mar 2023

Il tormentone del Ponte di Messina

di Luciano Caveri

Cominciamo con il dire che personalmente ritengo possibile - anche se il tema mi accompagna da quando ero in fasce - dover riflettere sul famoso Ponte di Messina. Con franchezza dubito si possa ritenerla una priorità con le molte emergenze di strade, autostrade e ferrovie che hanno bisogno di lavori profondi in un’Italia che non brilla per la qualità generale delle proprie infrastrutture nel settore dei trasporti. Tuttavia ne colgo, perché non vivo sulla Luna, l’aspetto simbolico e propagandistico per chi - come Matteo Salvini - aspiri evidentemente a restare nella storia patria, quanto almeno per ora non mi pare sia avvenuto. Che sia dalla costa calabrese o da quella siciliana, chiunque sia stato sul posto - e io l’ho fatto - nota che in fondo le rive divise da 3,5 Km del braccio di mare non sono gran cosa. Poi tutto può cambiare se si valutano i rischi sismici: mio nonno era sottoprefetto di Palmi nel 1908, quando il maremoto (oggi si dice tsunami) portò alla distruzione completa delle città di Messina e Reggio Calabria e di altri numerosi centri minori, causando la morte di 100 mila persone. La faglia che causò il sisma è sottomarina ed è ancora purtroppo presente. Tecnicamente non credo che sia problematica la realizzazione. Personalmente, ad esempio, ho percorso in treno Il ponte di Øresund, che è appunto una tratta sia stradale che ferroviaria di 15,9 km che collega sul mare le città di Copenaghen (Danimarca) e Malmö (Svezia), realizzata tramite tunnel sottomarino e ponte - congiunti in un'isola artificiale appositamente creata - che attraversano l'omonimo stretto (sund). Il Ponte di Messina avrebbe un solo precedente, ammesso che sia vero. Strabone scrisse: “Lucio Cecilio Metello radunate a Messina un gran numero di botti vuote, le ha fatte disporre in linea sul mare legate a due a due in maniera che non potessero toccarsi o urtarsi. Sulle botti formò un passaggio di tavole coperte da terra e da altre materie e fissò parapetti di legno ai lati affinché gli elefanti non avessero a cascare in mare”. Era il 251 a.C., in pieno periodo di guerre puniche, e il collegamento con la Calabria aveva uno scopo pratico. Per celebrare la vittoria contro il comandante cartaginese Lucio Cecilio Metello decide di portare a Roma i pachidermi superstiti, e forse, ed è importante specificare “forse”, lo fa costruendo un ponte di barche fra Sicilia e Calabria, La storia la raccontano sia il geografo greco Strabone, vissuto dal 63 a.C. al 23 d.C., sia Plinio il Vecchio, nato nel 23 d.C. e morto nel 79 durante l’eruzione del Vesuvio. Quindi potrebbe essere un’invenzione propagandistica priva di reale fondamento. Carlo Magno ci pensò a sua volta, così come i normanni nella persona di Roberto il Guiscardo, ma mancavano in entrambi i casi le capacità tecniche. Dopo il medioevo saranno i Borbone a pensare di unire la Calabria con la Sicilia, ma fu un nulla di fatto. Dopo i sovrani spagnoli, si passa alla lista quasi infinita dei tentativi italiani a firma del Ministero dei Lavori Pubblici dal 1866 con spreco di tempo e soldi e progetti vari da prendere fra il serio e il faceto. Ora si parte addirittura con un decreto legge, che deve basarsi per essere legittimo - e viene da ridere - su requisiti di necessità ed urgenza e dopo secoli ci vuole un certo coraggio per sancire queste sue caratteristiche. Ma, dopo aver visto Beppe Grillo che attraversò a nuoto il Ponte di Messina, temo che tutto sia possibile. Anche un altro comico - che non è per fortuna sbarcato in politica e cioè Antonio Albanese - se n’è occupato con il suo Cetto La Qualunque. Nella scena finale del film del 2011 Qualunquemente , dove accenna al ponte sullo Stretto durante un comizio tenuto nei pressi della costa calabrese, dice: “... noi costruiremo un ponte di pilu, con otto corsie di pilu e una corsia di peluche per gli amici! … Noi costruiremo un Paese nuovo, dove è possibile anche avere due mogli, anche non pagare le tasse: un Paese di pilu e cemento armato! E se il Ponte non basta, faremo anche il tunnel, perché un buco mette sempre allegria: qualunquemente”.