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25 mar 2023

Il “fioretto” necessario

di Luciano Caveri

Vien da sorridere a pensare quando da bambino ti spiegavano la bontà del fioretto e cioè di un sacrificio per devozione, che in genere si assume - va detto - per ottenere qualcosa di importante in cambio. Eppure il principio di impegnarsi in qualcosa, per ottenere un buon risultato, ha davvero un suo perché. Ci pensavo mentre comincio a scrivere sul mio telefonino, attraverso il quale annoto qui giornalmente una parte dei miei pensieri. In realtà questo strumento digitale è diventato nella mia quotidianità una sorta di estensione di me stesso e la sua plurima utilità è indubitabile. Capita di scherzare con gli amici sul fatto di come in passato si vivesse serenamente, potendone fare a meno e quasi di si scorsa di come altrimenti si facesse nel concreto. Tuttavia, sono il primo a rendermi conto - e lo farò anche senza fioretto - come sia giunta l’ora di ribellarsi ad una sorta di dolce schiavitù di una connessione che, passato un certo limite, ci…limita e ci isola dal resto del mondo, pur essendo quello digitale un altro mondo anch’esso pieno di opportunità. Ma con il rischio di essere eccessivamente assorbente e con il pericolo di dipendenza. Per cui da oggi mi metterò di buzzo buono e eviterò eccessi, riponendo l’attirante strumento. È proprio nel giorno dei buoni propositi trovo sul Corriere una spinta, che si aggiunge a quanto già spingeva in questa mia decisione. Scrive, come fosse una sentenza, Massimo Gaggi: “Per la prima volta dal 1932 l’IQ, il quoziente intellettivo degli americani, registra una contrazione: l’inversione del processo di crescita, costante per tutto il Ventesimo secolo, emerge da un’indagine vasta (quasi 400 mila test) e molto estesa nel tempo (dati raccolti dal 2006 al 2018) condotta dalla Northwestern University e dall’Università dell’Oregon. Cali analoghi sono già stati registrati anche da diversi Paesi europei. Ci sono opinioni divergenti sulla validità di questi test che non pretendono di misurare l’intelligenza ma sono ritenuti un buon indicatore dell’evoluzione delle capacità cognitive. E qui le conclusioni dei ricercatori, che hanno individuato cali sensibili soprattutto tra i giovani di 18-22 anni, citano possibili cause legate alla rivoluzione digitale nella quale siamo immersi. Soprattutto i cambiamenti nell’apprendimento e nell’istruzione con una conoscenza che è sempre più basata su piccoli «bocconi» di informazioni: tweet, video brevissimi, problemi complessi affrontati con un meme”. Confesso che nella mia decisione di tagliare in parte l’uso dei dispositivi elettronici discende anche Dak fatto semplice di come fare la morale al mio figlio dodicenne su questo rischi se poi io espresso eccedo. Prosegue l’articolo: “L’uso distorto e incontrollato tra i giovani di tecnologie per altri versi utilissime è anche al centro delle preoccupazioni di Vivek Murthy, Surgeon General degli Stati Uniti, l’authority che dovrebbe avere il polso della salute del Paese. In questi anni ha lavorato molto sulle pandemie, ma non perde occasione per spiegare che la cosa che lo preoccupa di più è il deterioramento della salute mentale degli adolescenti: dall’aumento del 40 per cento dei suicidi al raddoppio dei ricoveri per casi di autolesionismo. Per Murthy questa è la punta di un iceberg fatto di crisi di solitudine, isolamento, bullismo fisico che si diffonde anche online e «l’immersione in un bombardamento informativo 24/7 che genera paura e ansia soprattutto nelle menti degli adolescenti che attraversano la fase più sensibile per la loro psiche: il periodo in cui si sviluppa il cervello, viene creata la prima rete di relazioni sociali, si formano il senso della propria identità e i meccanismi di autostima». In un’intervista al New York Times Murthy se la prende in particolare con la mancata regolamentazione delle reti sociali ma la sentenza l’affida ai giovani: «Quelli che sento mi dicono tre cose: i social peggiorano l’immagine che hanno di se stessi, deteriorano i rapporti di amicizia e creano dipendenza: non riescono a staccarsi»”. Chi, come me, ha già un carattere acquisito e un background sulle spalle ha aggiunto il digitale ad una vita vissuta, chi invece oggi ci cresce rischia appunto di avere solo la vita digitale che gli mangi una parte sogni dell’esistenza reale. E forse un esempio di distacco, anche di noi adulti, dagli eccessi digitali può essere un esempio salutare. Ci provo.