Chi è cresciuto a Verrès, nella temperie carnevalesca che anima il paese con la ricostruzione storica che riecheggia vicende quattrocentesche, sa bene che cosa sia la “Partita a scacchi”, che viene messa in scena il lunedì di Carnevale nella fortezza che domina il paese. Così sintetizza la Treccani per chi non la conoscesse: “Opera teatrale del narratore e drammaturgo Giuseppe Giacosa (1847-1906). In versi martelliani e in un atto, composta nel 1871 e rappresentata a Napoli il 30 aprile 1873, è tratta da un episodio "grivois" del cantare cavalleresco Huon de Bordeaux (sec. XIII), scambiato dal Giocosa per una romanza provenzale”. Avete notato la data? Sono quest’oggi i 150 anni dalla prima della commedia! Ecco la descrizione della pièce: “La partita a scacchi è quella giocata in un castello del XIV secolo tra il bel paggio Fernando e Iolanda, figlia del nobile Renato e abilissima nel gioco degli scacchi, ma ignara della scommessa stretta tra il proprio padre e Fernando: se vincerà questi, lei gli andrà in sposa, mentre se vincerà la giovane, lui dovrà morire. Durante la partita Iolanda s’innamora del paggio e lo lascia vincere, ottenendolo così per marito, per la gioia del proprio padre pentitosi nel frattempo dell’eccessiva posta in gioco nel caso fosse stato Fernando a perdere”. Di recente, curata dalla compagnia teatrale Palinodie, ho visto una rilettura del testo di Giacosa con una proposta avvincente in qualche modo legata appunto all’anniversario della commedia originale, che ebbe all’epoca un successo enorme. Interessante la lettura sul sito Soloscacchi del lavoro di Giacosa, scritta da Marramaquis: “Giacosa scelse però di cambiare il finale della ballata provenzale da cui trasse ispirazione: infatti il protagonista dell’originale, Huon de Bordeaux, vinse, sì, la partita, ma preferì il vile denaro alla mano della donzella. La partita ha luogo nel castello dei conti di Challant, ad Issogne, in Valle d’Aosta. Il dramma di Giacosa, dopo la sua prima rappresentazione in Napoli, fu per vari anni presentato anche nel castello di Verrès, nei pressi di Issogne”. Ed è quanto avviene ancora, ricordando di fatto l’affezione di Giacosa verso la Valle d’Aosta in suoi diversi libri, al di là del giudizio che si può dare sulle sue opere letterarie. Più avanti, dallo stesso articolo citato, si legge: “Nel 1885 Giacosa è incaricato dell’insegnamento di Storia e letteratura applicata alle arti presso l’Accademia di Belle Arti di Torino. Nel 1886 pubblica “Novelle e paesi valdostani”, e via via debuttano sue nuove opere teatrali quali “La zampa del gatto”, “La sirena”, “Diritti dell’anima” e la stupefacente e notissima “Tristi Amori”. I critici italiani continuano tuttavia ad essere poco teneri con Giacosa, con misura inversamente proporzionale al grande successo di pubblico. Giovanni Verga si muove a scrivergli (1889) una lettera di solidarietà, nella quale si scaglia senza mezzi termini contro i malevoli critici “….quello che mi stomaca di più è vedere come il canagliume abbia potuto guastare anche quello stupendo capolavoro che è Tristi Amori”. Giacosa si trasferisce a Milano nel 1888, con la moglie Maria Bertola, sposata nel 1877, e le tre figlie, ma torna spesso al paese natale in Piemonte e ai suoi amati castelli in Val d’Aosta. Qui è ambientata un’altra sua celebre commedia, “La dame de Challant”, presentata in prima al Teatro Carignano di Torino il 14 ottobre del 1891, con la grande Eleonora Duse nei panni della protagonista (e in America da un’altra grandissima attrice, Sarah Bernhardt). Nel dicembre1897 è pubblicato il volume “Castelli valdostani e canavesani”. Giacosa era solito definirsi con orgoglio “un montanaro”, e l’amore per le sue terre e i castelli piemontesi e valdostani è una costante dei suoi lavori”. Segue una minuziosa ricostruzione della notevole mole di lavoro del Giacosa, con una conclusione che ci porta al punto di partenza: “Eppure, nonostante questa poliedricità e nonostante i successi e la fama, Giacosa veniva spesso etichettato come l’autore di “Una partita a scacchi”. E lui ne sentiva un poco il fastidio. Se ne ha dimostrazione in una lettera inviata al Direttore del “New York Drammatic Mirror”, nella quale così si esprimeva: “Amo la Partita a scacchi, come si amano i ricordi giovanili, ma per molti anni l’ebbi in dispetto. Ad ogni nuova commedia o dramma che venissi scrivendo, mi si opponeva sempre da tutti la Partita a scacchi. Ciò mi pareva umiliante. Ora che ho i capelli grigi, ora che la Partita a scacchi non saprei scriverla più, mi piace esserne chiamato autore, e provo un certo sentimento di particolare tenerezza, verso quel mio primissimo lavoro che seppe accompagnarmi tanto innanzi nella vita. La tenerezza d’altronde ha un’altra ragione. Un giorno, parecchi anni or sono, ricevetti da Berlino una lettera ed un opuscoletto. Apro la lettera, cerco la firma e ci leggo Teodoro Mommsen. Il grande storico, mi diceva che per regalo di nozze ad una sua figliuola egli aveva tradotto in versi tedeschi la Partita a scacchi, e mi domandava di approvare la privata edizione col testo italiano da una parte colla tradizione tedesca dall’altra. D’allora in poi, il mio breve lavoro corse con fortuna molti teatri d’Europa; ma il suo maggior trionfo fu l’aver avuto un Mommsen a traduttore”. Resta, al di là di tutto, l’importanza di ricordare l’anniversario, anche se non sempre ai valdostani piacque qualche stereotipo sui montanari inventato nelle sue opere da Giacosa.