Certe festività si svuotano da sole. Restano sul calendario, ma finiscono per essere per la gran parte delle persone un gradito giorno di vacanza in più. E questo avviene in un periodo in cui - se ci riferiamo al 1 maggio - il lavoro sta cambiando in profondità e lo si vede nella vita corrente e leggendo chi si occupa del tema con maggior competenza della mia. Prendiamo la Costituzione e l’incipit dell’articolo 1: “L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Formula di compromesso che venne scritta di proprio pugno da Amintore Fanfani all’epoca membro della Costituente, come via di mezzo fra una proposta di Aldo Moro e un’altra di Palmiro Togliatti. Un esempio mirabile dello sforzo democristiano e comunista che avvenne all’epoca di trovare una sintesi fra diverse correnti di idee trasfuse nella scrittura della prima vera Costituzione italiana, dopo lo Statuto Albertino in vita dal 1848. Nello stesso solco, a meglio esplicitare che cosa si intendesse per “lavoro”, arrivò poi nel 1970 lo Statuto dei Lavoratori, anch’esso esempio importante del ruolo della politica nel cercare situazioni di equilibrio fra diversi modi di vedere le cose. Scontro di idee che si trasfonde nella capacità del compromesso come formula matura di dialogo. Scusate l’ovvietà in un’epoca nella quale a questo esercizio si preferisce lo scontro continuo con l’occhio ormai maniacale ai sondaggi elettorali e non alla soluzione dei problemi concreti. Il lavoro cambia nel percepito della nostra società e probabilmente oggi, in una Costituzione rammodernata, non ci sarebbe più evocazione del suo ruolo come incipit. Il 1 Maggio riflette questa realtà. I Sindacati, che da tempo sono ormai in prevalenza prestatori di servizi con un articolo, il 39. della stessa Costituzione rimasto sulla carta, di cui ricordo la dimenticata e inattuata prima parte: “L'organizzazione sindacale è libera. Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge. E' condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica”. Così in questo 2023 si fronteggiano due visioni egualmente vetuste. Da una parte il Concertone a Roma nella logica del “panem et circenses”, che poco ha davvero a che fare con la celebrazione di una Festa, anche se certo “non sono solo canzonette”. E dall’altra, nel solco della Destra sociale meloniana, la decisione di avere su alcuni aspetti della legislazione in tema di lavoro un Consiglio dei Ministri in questa giornata festiva con anticipo, umiliante per le forze sociali, di una riunione che è stata semplice comunicazione. Trattasi in entrambi i casi di un esercizio retorico, nel senso che ormai ha acquisto questa parola, vale a dire - da dizionario - nei suoi contenuti e naturalmente nella sua forma a “linguaggio ampolloso, ricco di orpelli, ma povero di contenuti”. E ancora: “esaltazione solo superficiale di qualcosa, anche attraverso la retorica dei buoni sentimenti”. Credo che sia facilmente dimostrabile che ormai sia così e che questo derivi da profondi cambiamenti in corso, di cui sarebbe bene prendere atto. Senza questa consapevolezza il 1 Maggio sarà sempre più una giornata di svago, di cui si è finito per perdere il senso. Un processo rispetto al quale non serve a nulla colpevolizzare chissà e bisogna democraticamente prendere atto di come le cose cambino, al di là della volontà dei singoli e delle organizzazioni sindacali, che meglio di chiunque altro sanno bene come il loro ruolo - tolta la retorica tribunizia - sia ormai diverso persino dai loro roboanti Statuti. E la stessa cosa vale naturalmente, ma è altra e pur parallela questione, per i partiti politici.