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06 lug 2023

La Lega e la sua inversione a U

di Luciano Caveri

Ho visto nascere, crescere e poi cambiare in profondità la Lega. Lasciate le radici “nordiste” ormai da tempo, sotto la guida di Matteo Salvini - che pure si era formato in quel leghismo della prima ora - è stato di fatto abbandonato il federalismo, di cui la famosa autonomia differenziata per le Regioni Ordinarie è pallido fantasma. Ma la svolta nazionalista in salsa sovranista e antieuropeista cozza proprio con la proclamata ancora oggi adesione al pensiero federalista, specie in quella corrente indipendentista presente in Valle d’Aosta dentro la Lega. È evidente che ciascuno è libero di fare tutti i cambiamenti di linea politica, anche quando sono una inversione a U, ma l’importante è la chiarezza. In fondo a dimostrarla a tutto tondo è da tempo lo stesso Salvini e lo fatto ancora in queste ore con le ultime affettuosità politiche verso Marine Le Pen. Il suo Rassemblement National ha radici nella destra estrema e i tentativi di darsi una patina di moderatismo cozzano con la realtà dei fatti e con il menu di proposte politiche della leader francese. Dice Salvini: Berlusconi sdoganò il MSI, noi lo facciamo con la Le Pen, immaginando un’alleanza forte anche per il futuro dell’Unione europea. Il parallelo non c’entra, così come c’entra poco quella corrente filorussa che esiste in Lega, per non dire di certi NoVax che incupiscono la scena. Ho sempre detto che con la Lega il dialogo è giusto ad Aosta come a Roma. Ma certo chi aderisce a questo Movimento deve fare seriamente i conti con la difficoltà di spiegare un rivolgimento così profondo nella loro linea politica. Chi, come me, ha vissuto sin dai loro esordi sulla scena fianco a fianco in Parlamento con la Lega “territoriale” interessata allora al federalismo come chiave di riforma dell’Italia segue con un certo sconcerto l’abbraccio con chi predica in Francia un nazionalismo vecchio come il cucco. Si dirà che la scelta è tattica, nel senso che era per la Lega necessario allargare gli orizzonti padani e lasciare perdere certo folklore da prato di Pontida, usando - come fa Salvini - i Social come strumento politico importante ben più delle vecchie Feste padane simili alle Feste dell’Unità. Certo che passare da richieste per le infrastrutture obsolete del profondo Nord al lancio con decreto legge del Ponte di Messina come simbolo del riscatto italiano è un virtuosismo mica male. Immagino che dietro tutto ci sia la follia italiana di una politica sempre più ossessivamente legata al su e giù dei sondaggi. Mentre si perde la partecipazione popolare e questo è una male comune che rende tenera ma in parte risibile la maratona estiva di Elly Schlein per risvegliare la militanza in vista del test delle elezioni europee. Già sapendo tutti che, in termini di partecipazione, scenderemo nell’abisso più profondo dell’astensionismo, triste esempio della crisi profonda della democrazia. Fra le ragioni di questa disaffezione ci sta anche la fibrillazione negli spostamenti sullo scacchiere politico e Salvini e Schlein sono in questo accomunati nella scelta di andare verso gli estremi a destra e a sinistra. Il paradosso sta nel fatto che i politologici ricordano che la vasta area del Centro - oggi oggetto di liti condominiali fra Renzi e Calenda - dovrebbe essere il bacino cui attingere per il moderatismo degli italiani, segno o di equilibrio o di rassegnazione, secondo i punti di vista. Chi ha vissuto da tanti anni nella politica italiana con sguardo europeista (e la confusione alberga anche lì) segue con curiosità quanto capita e mestamente si chiede che cosa ci aspetti nelle prossime puntate…