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15 lug 2023

L’intervista per svelare

di Luciano Caveri

Mi è sempre piaciuto, nel mio lavoro di giornalista sin dagli esordi, intervistare le persone. Naturalmente il mio terreno privilegiato all’inizio è stata la radio, quando ero un ragazzino e poi la televisione. Intendiamoci: la tecnica dell’intervista radiotv è la rapidità e la capacità di far sparire il proprio protagonismo per far emergere la personalità e i pensieri chi si incontra. Oggi mi accorgo che in troppi nei reportage dei telegiornali usano l’intervista non per questo, ma per pigrizia e cioè l’ospite fa risparmiare la fatica di ricostruire i fatti. Così com’è insopportabile l’intervista per partito preso, in cui il giornalista vuole dimostrare una tesi precostituita. Lo ha detto bene Andy Warhol: “Mi sono reso conto che quasi tutte le interviste sono preconfezionate. Sanno già quello che vogliono scrivere su di te e sanno già quello che pensano di te prima ancora di parlarti, così vanno in cerca di frasi e di particolari per confermare quello che hanno già deciso che dovrai dire”. Ricordo che agli esordi mi ero dato una regola: interrompere il mio interlocutore appena mi accorgevo io stesso di annoiarmi e lui di essere ripetitivo o infruttuoso. Un equilibrio spesso difficile, perché interrompere è sempre brutto e non è facile seguire il discorso senza distrarsi e infilare una domanda successiva che crei un fil rouge che interessi chi segue lo svolgimento. Chi si prepara le domande e segue un copione intoccabile rischia di passare malamente di palo in frasca, perché bisogna saper improvvisare per rendere fluido il discorso. E in TV, un buon giornalista deve far sparire i fogli in mano e si vede lontano un miglio chi usa autori e suggeritori. Per questo vanno distinti i conduttori eterodiretti con i giornalisti in grado di intervistare per proprie capacità e conoscenze. Assisto con sgomento e dolore al declinare della vendita dei giornali cartacei. Ma i dati sono i dati e la morte delle edicole l’aspetto finale. Così come si evidenzia nei diversi media, compresi quelli digitali, la proletarizzazione del mestiere di giornalista. Epilogo triste rispetto ad anni in cui questo lavoro era considerato haut de gamme. Già ho detto del discrimine fra chi fa questo mestiere e certe starlette e presentatori che si limitano a fare i pappagalli di pensieri altrui. Fra i quotidiani italiani sembra resistere un pochino di più il Corriere della Sera e chissà se è un caso, al di là della qualità elevata del prodotto, che sia al momento l’unico giornale che ha puntato moltissimo sulle interviste a personalità varissime. Ogni giorno al mattino presto, quando scorro alcuni giornali e le rassegne stampa, confesso di divertirmi a leggere gli ospiti che spuntano sul giornale milanese. È sempre occasione per scoprire nel batti e ribattiti fra domande e risposte la parte più profonda di chi viene intervistato. E anche - va detto - è modo per far emergere la capacità del giornalista di scavare dentro il personaggio e l’onestà di intenti nel farlo. Scrisse Gaetano Salvemini, storico, politico e giornalista: “Noi non possiamo essere imparziali. Possiamo essere soltanto intellettualmente onesti: cioè renderci conto delle nostre passioni, tenerci in guardia contro di esse e mettere in guardia i nostri lettori contro i pericoli della nostra parzialità. L’imparzialità è un sogno, la probità è un dovere”.