Ho seguito la discussione scaturita da un articolo su La Repubblica, oggi in mano - come altri giornali - al Gruppo GEDI e cioè agli eredi Agnelli. Si è trattato - lo dico per chi non ha seguito il caso e penso siano in pochi - di un articolo strano dai tratti letterari al limite dell’elzeviro ma con riflessioni sociali e con punte un pelo narcisistiche del protagonista. Quanto non stupisce nell’eclettico giornalista e scrittore Alain Elkann, cittadino americano nato a New York nel 1950. Figlio di un banchiere, industriale e rabbino, marito di Margherita Agnelli e padre di John, oggi al vertice della rete societaria ex Fiat, e Lapo, personaggio da cronache mondane ben conosciuto. Cos’ha scritto Elkan sul giornale di cui la sua stessa famiglia è editrice? Cito l’inizio di questo racconto ambientato su di un treno: ”Non pensavo che si potesse ancora adoperare la parola “lanzichenecchi” eppure mi sbagliavo. Qualche giorno fa, dovendo andare da Roma a Foggia, sono salito su una carrozza di prima classe di un treno Italo. Il mio posto assegnato era accanto al finestrino e vicino a me sedeva un ragazzo che avrà avuto 16 o 17 anni. T-shirt bianca con una scritta colorata, pantaloncini corti neri, scarpe da ginnastica di marca Nike, capelli biondi tagliati corti, uno zainetto verde. E l’iPhone con cuffia per ascoltare musica. Intorno a noi, nelle file dietro e in quelle davanti, sedevano altri ragazzi della stessa età, vestiti più o meno allo stesso modo: tutti con un iPhone in mano”. A questa compagnia di giro si contrappone un compassato e direi alieno all’ambiente ed è lo stesso Elkan, che si descrive così: ”Io indossavo, malgrado il caldo, un vestito molto stazzonato di lino blu e una camicia leggera. Avevo una cartella di cuoio marrone dalla quale ho estratto i giornali: il Financial Times del weekend, New York Times e Robinson, il supplemento culturale di Repubblica. Stavo anche finendo di leggere il secondo volume della Recherche du temps perdu di Proust e in particolare il capitolo “Sodoma e Gomorra”. Ho estratto anche un quaderno su cui scrivo il diario con la mia penna stilografica”. Facile capire quanto questo insieme che puzzava di evidente snobismo, già nei brani sommariamente citati, abbia sortito un putiferio di prese in giro, di pesante sarcasmo, di prese di distanza. Trovo molto giusto che ci sia stata una reazione ad un articolo-narrazione sfortunato e non giustificabile nei toni e nei contenuti. Ho letto abbastanza stranito l’articolo e molte delle cose scritte in seguito e vorrei osservare che si è gonfiato il caso al di là probabilmente del dovuto, come ormai capita nel caravanserraglio dei Social. Dell’articolo, tuttavia, resta uno sfondo di cui bisogna riflettere ed sono la rozzezza e la maleducazione al limitare della violenza che si manifestano nella società e che Elkan in fondo affronta con una sorta di candore che stride e che ha creato per quel suo tono acido il mare di polemiche. Dette le stesse cose in altro modo e senza puzza sotto il naso dal sapore classista forse Elkan non sarebbe stato processato e portato al patibolo. Direi che se l’è cercato e immagino che difficilmente cadrà di nuovo in una trappola che si è costruito da solo. Un autodafé su cui dovrà di certo riflettere Elkan, evitando forse di salire su di un treno… Resta e si staglia il rischio di un degrado. Ha scritto Karl Popper: “E in che cosa consiste fondamentalmente un modo civilizzato di comportarsi? Consiste nel ridurre la violenza. È questa la funzione principale della civilizzazione ed è questo lo scopo dei nostri tentativi di migliorare il livello di civiltà delle nostre società”. Anche su di un treno.