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27 lug 2023

Il declino del giornalismo

di Luciano Caveri

Siamo letteralmente bombardati di informazioni dal mattino alla sera e verrebbe da dire anche di notte, se non ci fosse la sana abitudine di silenziare il telefonino. Tutto è cambiato rispetto al passato, ma da vecchio giornalista che non ha mai perso la passione, facendo viaggiare in parallelo la politica e il giornalismo, non posso non segnalare con sconcerto la crisi dei giornali cartacei e il terribile conformismo dei telegiornali. Ci sono giornali che leggo da una vita che mi annoiano mortalmente e leggo per dovere civico. Vedo telegiornali che lasciano basiti per la povertà di notizie scovate senza originalità: tutto sembra trito e ritrito. Mancano squilli sulla carta e in TV! Per questo ho letto. sul singolare sito di nicchia professionereporter.eu, pensieri di un vecchio giornalista come me, Stefano Brusadelli, dalla cui ricca biografia emerge una vita spesa in quello che diceva Albert Camus e cioè ”Il giornalista è lo storico dell’istante”. Segnalo prima di citarlo che credo che quel che scrive, come già accennato, valga per i grandi telegiornali della sera, forse con l’eccezione della 7 con il mio amico Enrico Mentana.
Scrive Brusadelli: ”Che la stampa quotidiana italiana (e non solo) sia in crisi nera è una realtà fotografata impietosamente dai numeri Ads. E una sorte ancora peggiore è quella che tocca – all’interno dei dati complessivi di diffusione – alle copie di carta. Le cause di tale declino sono state ampiamente esplorate, e non ci sono dubbi che quella primaria è l’abitudine ormai diffusa non solo tra le giovani generazioni di servirsi quasi esclusivamente di fonti elettroniche per tenersi informati”. Proprio da qui vorrei partire per offrire un piccolo e ulteriore contributo al dibattito. Con una riflessione che è la seguente: in un mercato fatto da utenti che passano le giornate consultando ossessivamente i propri smartphone e che appena rientrati a casa sintonizzano la tv su uno dei tanti canali all news, quale attrazione possono esercitare quotidiani che per lo più ripropongono con un giorno di ritardo i fatti già noti all’utente dal giorno prima?”. E ancora: ”Le obiezioni, ovviamente, ci sono, e sono anche ben fondate: il quotidiano di carta filtra, approfondisce, ha una funzione insostituibile nel frastuono informativo dove le fake news sono sempre in agguato. Giusto; ma a parte che tra social, blog e tv di opinioni in giro ce ne sono fin troppe, la propensione all’approfondimento, ci piaccia o no, è tra le vittime della contrazione della soglia d’attenzione che affligge il nostro tempo. Approfondire è un lusso che ormai si concedono in pochi, e sempre meno; come appunto sono sempre meno sono i lettori della carta. E quindi i quotidiani che si vendono in edicola, se non vogliono rassegnarsi all’irrilevanza, bisognerà che provino a inventarsi qualcosa”. Concordo del tutto sulle proposte: ”Magari iniziando col ricordare che la vita di un Paese non si esaurisce nel suo dibattito politico, peraltro di qualità sempre più modesta, nell’andamento della sua economia, nelle cronache nere o giudiziarie, e tantomeno nelle vicende delle sue “celebrities”. Ciò che è davvero nuovo, ciò che anticipa il futuro, quello che ti fa dire “oh, questo sì che è interessante“, ossia ciò per cui vale la pena pagare al giornalaio il prezzo della copia, esiste ancora, ma se ne sta un po’ nascosto, come tutte le cose preziose. Bisogna cercarlo nella nostra vasta ed effervescente provincia, nelle periferie, nelle università, nelle parrocchie, nelle piccole case editrici, nei centri studi, forse persino nei bar. Sono quelle le miniere di storie, di personaggi, di futuro. Certo, lavorare lì dentro è più incerto e faticoso che ricucinare con spezie e salse varie le breaking news del giorno prima, o monitorare i social alla ricerca dell’ultima dichiarazione sulla quale costruire una polemica, o telefonare ad un ufficio stampa, o spulciare carte giudiziarie e poliziesche, o fare un’intervista. E so quanto sia difficile scardinare abitudini professionali, rigidità contrattuali, spartizioni feudali della foliazione. Tanto più in un momento in cui in molte redazioni il morale è basso e le retribuzioni per i nuovi arrivati sono scandalosamente inadeguate”. Già la precarizzazione e lo svilimento della professione giornalistica su stagliano come una triste realtà e la reazione proposta da Brusadelli è saggezza: ”Ma ad ogni crisi occorre rispondere con il cambiamento. E sommessamente credo che l’unico cambiamento oggi possibile dinanzi all’agonia della carta stampata sia aumentare fortemente il tasso di originalità dei quotidiani. E quindi, il tasso di curiosità di chi li fa. Offrendo, già dalla costruzione della prima pagina, contenuti che non siano (soprattutto) la “messa in bella copia“ di eventi già noti. Una prima pagina originale, che sorprenda davvero, e senza dover ricorrere al banale additivo del gossip da tv e da social (basta!)”. Questo vale - lo ripeto - anche come contrasto alla sciatteria dell’informazione televisiva. Certo bisogna riformare la professione giornalistica. Che sparisca la figura del pubblicista e si concentri tutto sul giornalista professionista per piantarla con certe ambiguità e si rifletta sull’Ordine, dando ad esso un reale ruolo.