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06 set 2023

Sorrisi per Los Angeles

di Luciano Caveri

In un’altra vita, ma per ora mi accontento di questa, mi sarebbe piaciuto vivere a Los Angeles, città – o meglio una matrioska di città – che mi ha molto impressionato, confermandomi alcune cose, nel solco di un pezzo della mia vacanza negli Stati Uniti.  Commentava un mio amico che ogni cinque anni bisognerebbe andare in America non solo perché precorre spesso i tempi e cavalca le novità, ma perché alla fine si apprezza molto, per contrasto, la nostra identità europea e un certo modo di vivere. Sarà, come ho studiato nel Giurassico all’Università, che la storia degli States è stata, sin dai navigatori che la “scoprirono”, una sorta di arrembaggio a detrimento dei poveri popoli nativi, invasi dagli europei, a loro volta “invasi” da altri flussi migratori, che scorrono sempre e ancora. Per cui usare il termine “americano” sarebbe riduttivo, meglio il plurale “americani”, che rende conto della complessità di convivenze diverse in un crogiolo da cui sortisce, tuttavia, un sentimento nazionale contradditorio ma unificante. Los Angeles – e la cosa impressiona – è di fatto un set cinematografico e televisivo. Certo ci sono gli studios, dove si girano i diversi prodotti, ma poi, nel tour della città, scopri come palazzi vari e case singole siano state lo scenario di mille prodotti che abbiamo visto sullo schermo piccolo o grande. Impressiona, parlando con l’ottima guida che ci ha accompagnato in giro, come la nostra cultura di visitatori occasionali sia impregnata di “americanite” e questo lo si vede dalla capacità di ricordare film o serie - per non dire delle canzoni! - che hanno fatto parte della nostra vita. Aggiungerei, durante il giro delle ville di Beverly Hills, il potere evocatore dei loro proprietari: attrici, attori, registi, cantanti e altri protagonisti dello star system. Lo stesso vale per l’infinito elenco di stelle sui marciapiedi di Hollywood Boulevard, da cui si vede la nota ed enorme scritta iconica. Ma Los Angeles è anche il mare: Malibù, Santa Monica, Venise Beach con porti e spiagge talmente visti in così tanti modi da risultare luoghi familiari e farti sentire protagonista di chissà quali storie. Ha scritto il regista David Lynch: “Amo Los Angeles. So che tantissime persone, visitandola, vedono soltanto un'immensa distesa di monotono disordine. Se ti fermi per un po', invece, ti rendi conto che ogni quartiere ha una propria atmosfera. A Los Angeles l'età d'oro del cinema è ancora viva, nel profumo notturno dei gelsomini e nel clima mite. La luce poi è una fonte di ispirazione e di energia. Perfino con l'inquinamento, possiede un non so che di vivido e di caldo, non è violenta. Mi infonde la sensazione che tutto sia possibile. Non so perché. È diversa dalla luce di altri luoghi”. Già, la luce e questo mi fa tornare ragazzo, quando imparavo i rudimenti della televisione, e scoprivo questa ovvietà e cioè di come la luce faccia parte della magia in movimento e ne sia un elemento essenziale. Ma ovviamente al chiaro si contrappone lo scuro e ne scrisse, con la penna straordinaria che la contraddistingueva, Oriana Fallaci: “Come tutti i luoghi nati dalla speculazione, alimentati dal troppo denaro e abitati da gente che ieri non aveva nulla e oggi ha tutto, Hollywood è dunque la più strana tra le combinazioni di contrasti. Stupida e geniale, corrotta e puritana, divertente e noiosa”. La mia prima tappa era stata San Francisco, anch’essa con i suoi saliscendi e il profilo dell’isola di Alcatraz, luogo visto e rivisto negli anni attraverso la TV ed è, almeno nella mia esperienza epidermica, espressione di una certa decadenza. La si vede in modo fisico dagli homeless (senzatetto) che invadono, anche in modo violento il centro città. O dai racconti della nostra guida, quando evoca l’elenco delle droghe nuove, quelle sintetiche, che avvelenano le giovani generazioni. Contraddizioni, anche in questo caso e si alternano così miseria e nobiltà tra case grigie e informi contrapposte a quei quartieri à la page con quel verde e quei fiori che fanno così California. Ha scritto non a caso Federico Rampini sul Corriere: ”Questa è la storia di una città dove un’insegna luminosa di Elon Musk che infastidisce gli abitanti viene immediatamente rimossa dalle autorità. Ma gli spacciatori di fentanyl, i rapinatori, o gli homeless che aggrediscono i passanti e defecano davanti ai negozi godono dell’impunità più totale. La città, naturalmente, è San Francisco: una ex-perla che si avvolge in una spirale di degrado di cui non s’intravvede la fine”. Lì non ci abiterei.