In un’Italia dove troppo spesso la politica non sa cosa farà domani, capisco quanto faccia impressione che in Europa si discuta già della politica di coesione dopo il 2027. Preciso, prima di entrare nel tema, che non sono un fans sfegatato dell’Unione europea com’è oggi e da federalista - ne avessi i poteri - cambierei radicalmente la politica comunitaria, ma sugli aspetti previsionali c’è invece da imparare. In soldoni la politica di coesione ha una serie di fondi su diversi programmi di azioni, che si trasformano in progetti, che in questo periodo, sino al 2027 ruotano attorno a cinque obiettivi: un'Europa più intelligente, più verde, più connessa, più sociale, più vicina ai cittadini. Slogan che si devono trasformare in investimenti e noi in Valle d’Aosta lo stiamo facendo. La cornice è riassumibile in questo passaggio sintetico: “Per promuovere uno sviluppo armonioso dell'insieme dell'Unione, l'Unione europea rafforza la sua coesione economica, sociale e territoriale. In particolare l'Unione mira a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle sue varie regioni. Tra le regioni interessate, un'attenzione speciale è rivolta alle zone rurali, alle zone interessate da transizione industriale e alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici, quali le regioni più settentrionali con bassissima densità demografica nonché le regioni insulari, transfrontaliere e di montagna”. Nel tempo una cifra enorme di questi interventi si è riversata anche in Valle d’Aosta e ha consentito di apprendere modalità di studio che prevedono poi le decisioni concrete, che sono risultate utili anche nelle scelte politiche e amministrative che non hanno direttamente a che fare con i finanziamenti europei. Non è tutto rosa e fiori, pensando a certe incombenze burocratiche e ad una rete di controlli asfissianti, ma comunque il gioco vale la candela. Quindi in questa fase bisogna progettare e spendere, ma - pensando al futuro - bisogno intanto pensare al contesto per modificare quanto inquieta. Su questo al Comitato delle Regioni e nel dibattito nel gruppo italiano ho fatto due riflessioni. La prima: il PNRR - con gran parte di denaro europeo - nasce e prosegue il suo cammino senza un reale ruolo delle Regioni e questo ha comportato una presenza decisionale pressoché esclusiva dello Stato con gravi inefficienze e difficoltà di funzionamento e di spesa. Un modello centralistico che rischia di trasferirsi sul complesso dei fondi strutturali, come già avvenuto nel settore agricolo con il Fondo di Sviluppo Rurale con Roma che dirige e le Regioni che non possono più dialogare direttamente con Bruxelles. Si rischia di umiliare il ruolo del regionalismo nel nome di un dirigismo statale antistorico e in palese violazione di principi costituzionali e della vocazione regionalista della cosiddetta politica regionale europea. Roba da ricorrere alla Corte Costituzionale italiana e alla Corte europea di Giiustizia, se non si aggiusterà il tiro. Mi auguro che Regioni e Comuni sul tema facciano fronte comune, al di là degli schieramenti politici di appartenenza, che spesso a rotazione spingono a tacere. Seconda considerazione: come avete letto, si evocano le zone di montagna, ma in Europa manca una definizione precisa di che cosa sia davvero la montagna e questa ambiguità rischia di penalizzare…la montagna. Urge una direttiva comunitaria che definisca criteri di perimetrazione chiari, applicabili naturalmente alla varietà delle montagne in Europa, che metta ordine e concentri i fondi necessari per il famoso sviluppo che oggi se non è sostenibile si è fuori moda , altrimenti assorbiti anche da chi non ne avrebbe diritto. Sembrano tecnicismi e invece è politica!