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15 feb 2024

La politica giudiziaria

di Luciano Caveri

Scrivo sull’onda - ogni tanto capita anche a me che guardo sempre al mondo con speranza e fiducia - di una qual certa amarezza da cui mi ripiglio subito attraverso lo sdegno. Sono molti anni che faccio politica e dovrei avere la pellaccia dura e essere abituato al fatto che si usino sia armi legittime nel confronto politico, ma anche strumenti scorretti per screditare gli avversari sino al limitare della diffamazione. Eppure penso ingenuamente che ci dovrebbe essere, se non un codice di comportamento perché chiederei troppo, almeno un minimo di buonsenso nei reciproci confronti. Credo personalmente di avere una dignità conquistata sul campo, che ho accumulato nei diversi ruoli ricoperti nel corso di una carriera che mi sembra quantomeno degna di un minimo di considerazione.

Proprio in queste ore una mia amica, che ha un ruolo significativo, mi ha detto seria: ”Se ti danno una scatola vuota, sei capace a riempirla di cose”. Difficile dire qualcosa che mi lusingasse di più. Chi si loda s’imbroda, ma mi piace questa descrizione di un artigiano della politica che dove lo mettono studia e si applica e, sin dall’esordio, ci ho messo il cuore e, nel limite delle mie possibilità, la testa.

Ecco perché, senza fare la verginella, vorrei dire che non sopporto più la dose di veleni di certa politica, che usa metodi opposti al leale confronto democratico. Non è una novità, avendo già visto il metodo in azione, quasi sempre fomentato, nel piccolo recinto della politica valdostana, dai peggiori sulla scena, la cui storia personale parla per loro più di mille improperi.

Ha scritto argutamente Giovanni Soriano su certi personaggi maldicenti: “Così come può accadere che un pugile, nel momento in cui si rende conto di non poter competere ad armi pari col proprio avversario, faccia ricorso a qualche colpo basso, allo stesso modo è facile che l’invidioso, nel momento in cui comprende che non potrà mai eguagliare il proprio rivale, ricorra alla calunnia. Ma cosí facendo, l’uno e l’altro – il pugile scorretto come l’invidioso – vanificano nel modo peggiore l’unica possibilità rimastagli: quella di finire al tappeto con onore”.

Mi riferisco a chi fa politica con l’utilizzo delle denunce alle varie Magistrature in campo come scelta stilistica della propria idea di “fare opposizione”.

È quanto si sta facendo - con un’evidente logica a tenaglia concertata a tavolino - sul costruendo Ospedale di Aosta, brandendo la carta bollata e usando questi strumenti per l’effetto che si crea, che già danneggia la reputazione di chi viene investito dal peggio del peggio: il sospetto.

Lo diceva il magistrato Giovanni Falcone, magistrato serio, che lo subì: “Non si può investire nella cultura del sospetto tutto e tutti. La cultura del sospetto non è l'anticamera della verità, è l'anticamera del khomeinismo”.

È giustizialismo - cioè uno specchio deformato della giustizia - costruire accuse a carattere strumentale e pretestuoso. Già lanciando il sasso, affidato ad altri, si finisce per nascondere la mano. Chi pratica questa logica del dileggio lo fa con accuse che servono anzitutto per ferire, ingenerando come un tarlo il dubbio verso comportamenti, dando già per scontati gli esiti con un colpevolismo che impressiona.

Lo diceva un’aria del Barbiere di Siviglia di Gioachino Rossini con il libretto di Cesare Sterbini: “La calunnia è un venticello / un’auretta assai gentile / che insensibile, sottile / leggermente, dolcemente / incomincia a sussurrar”. Saranno versi soavi, ma la realtà è chi usa certi metodi di soave non ha nulla.