La lingua parlata e scritta si impoverisce e non è un problema solo dell’italiano, ma di una sorta di generale immiserimento culturale che sembra un virus che ammorba il mondo, che si standardizza verso il basso.
È un’osservazione, probabilmente pessimista, che condivido con tanti amici che nei loro rispetti lavori, quando osservano questa progressiva retrocessione nei saperi con la lingua, che si fa basica e talvolta inespressiva.
Leggevo su Lettera 43 cosa scrive il sociologo Giorgio Triani: ”L’italianese, neo lingua ufficiosa parlata però dal 90 per cento degli italiani, è il tema di oggi. Che prende avvio da una citazione storica. «Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste. Le parole sono importanti». Ricordate Nanni Moretti nel film Palombella rossa? Ripeteva quel che aveva già denunciato George Orwell ne I principi della neolingua scritto come appendice di1984: «La lingua diventa brutta e imprecisa perché i nostri pensieri sono stupidi, ma a sua volta la sciatteria della lingua ci rende più facili i pensieri stupidi». Ciò per dire che la circolarità fra sciatteria linguistica e pensieri stupidi non è certo nuova, ma non c’è dubbio che in questi anni abbia conosciuto una notevole accelerazione”.
Sciatteria è una parola già complicata per chi abbia solo vocaboli asfittici. Sul prezioso una parolaalgiorno si osservano due cose. La prima:“Conosciamo la qualità dello sciatto soprattutto riferita a un vestire trascurato; ma questa è solo la punta di un iceberg di significati (più o meno usati) davvero impressionante. Si tratta però di una mole piuttosto lineare, illuminata dal concetto semplice e netto da cui scaturisce: il non adatto”.
La seconda illuminante: “Anticamente ‘sciatto’, come sostantivo, poteva anche significare ‘strage, distruzione’; in questo senso deriva dal verbo ‘sciattare’, appunto ‘distruggere’, che dalla medesima origine etimologica segna il supremo rendere inadatto della rovina”.
Parole sagge. Ma torniamo al sociologo: “Procedendo infatti a tutto campo e riprendendo il titolo del saggio di Doriano Zurlo, Con le parole si fanno miracoli(Franco Cesati editore), cominciamo col dire che il linguaggio quotidiano si è tanto più ritirato, rattrappito, quanto più è lievitato nell’espressività. I superlativi, una volta assoluti, e prerogativa soprattutto della pubblicità, sono diventati relativi, cioè usati sistematicamente. Non c’è infatti discorso quotidiano che non abbondi di aggettivi ipertrofici: meraviglioso, stupendo, fantastico, incredibile, sensazionale e così via esagerando. Curiosamente si può osservare come la comparsa della società del super, extra, mega, absolut, unlimited sia andata di pari passo con il progressivo scivolare in basso del sentimento collettivo. Siamo sempre più depressi e sfiduciati, come da un decennio certificano costantemente ricerche e survey sull’opinione pubblica nazionale. Nonostante l’insistenza pubblicitaria ad accreditare un mondo dove, a dispetto della reale complessità, tutto è easy e no problem”.
Più avanti: “È da un decennio che siamo in piena Cultural war 2.0, dove la polarizzazione “fischia e infuria”, facendo leva e spingendo sul linguaggio semplificato. Un tratto questo ben evidente nella riduzione della comunicazione interpersonale a messaggio. Ovviamente breve, al punto che le parole diventano segni, simboli, emoji. Ovviamente in simile contesto frasi gergali, slang e inflazione di intercalari ormai drammatici, come “wow” o i “hahahaha” con quattro o cinque punti esclamativi, evidenziano le derive estetiche, culturali prima che linguistiche, che si sono impadronite della nostra vita quotidiana”.
Ci casco anch’io: una faccina o un’affermazione gergale da fumetto non si nega a nessuno, anche certi rompiscatole che troneggiano sul Whatsapp, spesso insalutati ospiti! Così conclude Triani: ”Perfetto, ottimo, fico. È forse la triade o punta dell’iceberg linguistico visibile nelle comunicazioni che viaggiano in Rete. Non c’è infatti contatto e messaggio, su WhatsApp, Telegram o email, che non riceva come risposta “perfetto” o “ottimo”, spesso ribaditi dal pollice dell’ok o dai cuoricini, che sono l’equivalente grafico di “fico”. Modo di dire che a livello popolare si esprime con il faccino che piange dal ridere o con le manine che applaudono. A livello di classe dirigente (imprenditori, manager, professionisti) è osservabile invece la sempre più marcata propensione a parlare un “italiano modificato” (per riprendere Bar sport di Stefano Benni). Una neolingua che, essendo mossa dalle stesse motivazioni dello storico latinorum, chiameremo anglorum. (…) La percentuale di italiani che conosce bene l’inglese, oltretutto, è piuttosto bassa. il Giro del Trentino oggi si chiama Tour of the Alps. Non è esagerato, credo, parlare di sudditanza culturale”.
Anche in Valle d’Aosta esiste il male dell’italiese e quella certa anglofilia che - nel nome del turismo internazionale - dimentica la cara e musicale francofonia in favore di definizioni da slang inglese, che fa - lo scrivo, lo scrivo! - fico.