Sono sempre stato incuriosito dalla simpatia che circondava i Ferragnez, di cui ho seguito i destini nella buona e nella cattiva sorte, perché d ra le mie letture varie getto sempre un occhio anche alla cosiddetta cronaca rosa, ormai sdoganata anche dai grandi giornali, per non dire dei contenitori televisivi.
Avevo persone amiche che si divertivano delle loro gesta e, di fronte a certe mie perplessità documentate anche dalla visione di qualche puntata della serie televisiva da loro stessi autodedicatasi (scusate il neologismo), mi davano dello snob. Poi - per le note vicende - ho seguito, assumendo la posizione di chi si vanta con “l’avevo detto!”, il declino ancora in corso di Chiara Ferragni, influencer d’eccellenza, e la separazione in favor di telecamere con il marito cantante Fedez (Federico Leonardo Lucia era certo meno accattivante).
Ho letto su LinkedIn alcune osservazioni Andrea Barchiesi Reputation Manager dell’Università Politecnica delle Marche, che propongo in parte per punti su Ferragni: “Il primo è l'enorme esposizione mediatica del soggetto, che ha scelto da sempre di mostrare ogni dettaglio della sua vita e di farlo diventare in qualche modo il suo marchio di fabbrica. La sua comunicazione era strutturata come un Truman Show immersivo in cui il fan era invitato a entrare e condividere il quotidiano patinato ed esclusivo fatto di piccole cose anche semplici, ma semplici solo all'apparenza. Tutto questo ha caricato la molla di un interesse a tratti quasi morboso”. In seguito: “Il secondo punto tocca il tema etico su cui in questo momento storico c'è grandissima sensibilità da parte delle aziende e della società in generale”.
Più avanti: “Il brand si è posto come valoriale abbracciando temi etici e offrendo una visione più solidale, aveva fatto del sociale e della beneficenza un suo posizionamento differenziante ed è caduto proprio su questo. Non è un dettaglio da poco poiché incorrere in un problema serio, su un aspetto che si è messo a pilastro della propria identità causa un effetto domino sulla credibilità: tutto viene riletto sotto questa luce e considerato inautentico”.
Più avanti ancora: ”L'invidia sociale latente verso una vita dorata e la sua esposizione costante, che si rivela oggi un boomerang. La società civile nel suo complesso fa molta fatica ad accettare il successo ostentato, la ricchezza e la narrazione del lusso, soprattutto in un momento economico di stress con l'inflazione che ha toccato livelli alti riducendo il potere d'acquisto reale. Lo tollera finché è meritocratico ma nel momento in cui sembra basato su un inganno tutto cade come un castello di carte e dove c'era merito si legge solo inganno e truffa”.
Il “caso Balocco”, cioè panettoni sponsorizzati che non avevano una reale contenuto della beneficenza annunciata, è risultato la punta di un iceberg e Ferragni ha fallito per ora la risalita mischiatasi con la fine del suo matrimonio con strascichi infantili dei due sposi, che almeno finalmente risparmiano l’esibizione social della prole.
Ma Fedez è peggio, ora che si propone come testimonial e in parte guru del disagio mentale, partendo dallo sbandieramento del proprio caso personale. Lo ricorda su HuffPost Gilberto Corbellini: “In Italia pare che il più autorevole esperto di salute mentale dei giovani sia un rapper di nome Fedez. È lui a essere chiamato nei più vasti e culturalmente qualificati consessi pubblici, come il Salone del Libro di Torino, per pontificare di un tema su cui si scervellano da anni fior di psicologi ricercatori e clinici nel mondo”. Testimonial così non servono e Corbellini segnala la strada giusta, quella dello studio del fenomeno, che mostra ancora contraddizioni: “Nei paesi con una cultura più empirica della nostra, sono state investite risorse da parte di istituzioni sanitarie e sistemi scolastici, per sperimentare misure volte a contrastare il presunto aumento dei livelli di disagio e di autolesionismo. Sono state sviluppate misure e in particolare organizzati corsi preventivi di autoregolazione emotiva, terapia cognitivo comportamentale e mindfulness. E sono stati studiati gli effetti sui ragazzi del loro parlare di questi problemi, per capire se fa davvero bene. Alcuni interventi cominciano a restituire risultati, che sono decisamente inaspettati. Ricerche condotte nel Regno Unito, in Australia e negli Stati Uniti mostrano che gli studenti che hanno seguito corsi di formazione che promuovono attenzione o consapevolezze per le loro condizioni mentali, che applicano qualche forma di terapia cognitivo-comportamentale e di terapia dialettica del comportamento, non stanno meglio rispetto ai coetanei che non hanno partecipato ai corsi. E alcuni sono stati peggio, almeno per un periodo”.
Bisogna, insomma, scavare ancora: “La ricerca di alta qualità, non le chiacchiere dei testimonial, dovrà chiarite la portata degli effetti negativi inattesi degli interventi psicologici, e fino a quel momento si dovrebbe procedere con cautela con interventi di salute mentale su larga scala. Le buone intenzioni lastricano sempre anche le vie dell’inferno”.
E gli influencer - questo vale in senso generale - sì fanno più che altro i loro di affari.