Ho seguito con viva curiosità le diverse storie accessorie alla manifestazione in sé, che si sono incrociate in occasione del Salone del Libro di Torino. Vince sempre il gusto della polemica…
Comunque sia, ho amici che sono andati a presentare i loro lavori, altri che sono - a seconda delle abitudini- lettori accaniti o tiepidi e ancora c’è chi i libri non li legge, ma ci va al Salone per abitudine da gita fuori porta o, come diceva di altro Enzo Jannacci, “per vedere l’effetto che fa”.
Avevo deciso di scriverne di questa stranezza di un mancata corrispondenza fra numero di visitatori e di lettori, poi mi sono occupato di altro e mi sembrava ormai di essere fuori tempo massimo.
Poi trovo su Huffpost (diretto da Mattia Feltri, marito da Annalena Benini, direttrice del Salone: una coppia in gamba!) quanto in buona parte condivido sul mancato assioma fra chi legge e chi visita in un articolo di Adalgisa Marrocco. L’inizio è una perfetta descrizione del paradosso: “Un panorama culturale a due velocità, dove l’entusiasmo che avvolge i festival letterari e gli eventi editoriali si affianca al ben più magro bilancio delle vendite di libri a livello nazionale”.
Le cifre del successo del Salone del Libro di Torino emergono poco più avanti: “Con un bilancio finale di 222mila visitatori, la rassegna ha stabilito un nuovo record, con un aumento di 7mila partecipanti rispetto all'edizione precedente, già segnata da un’affluenza straordinaria, e da un generale aumento delle vendite di libri agli stand. Un successo che è stato alimentato non solo dalla presenza di autori di spicco e da una programmazione ricca di incontri e dibattiti, ma anche dall’entusiasmo dei tanti giovani lettori che hanno affollato gli spazi espositivi”.
C’è un però: “Tutto questo, dicevamo, non si accompagna a un buono stato di salute delle vendite librarie. Il settore è sceso del 2,2 per cento nei primi quattro mesi dell’anno in corso rispetto al 2023, secondo l’ultima rilevazione dell’Associazione Italiana Editori (AIE) con Nielsen BookScan. La nota positiva è che i lettori tornano a comprare in libreria più che su Internet: gli acquisti rappresentano il 54,8 per cento del venduto totale, segnalando che gli store fisici hanno ancora le potenzialità per essere presidi di cultura e luoghi d’incontro”.
Mi sfugge in realtà una distinzione fra acquisto di libri cartacei sul Web, con spedizioni rapidissime a casa, e il fenomeno - da me praticato - del clic con cui si trasferisce in un batter di ciglia il libro prescelto in versione digitale sul eBook.
Sul perché del rovello dell’inizio le spiegazioni della Marrocco sono interessanti e iniziano con le riflessioni di un intervistato: “Noi siamo presenti a Torino da trentasei anni, fin dalla prima edizione. E, in tutto questo tempo, abbiamo notato una dinamica costante: quando fuori, nel mondo editoriale e non solo, c’è un clima generale di pessimismo o depressione, gli eventi come il Salone vanno ancora meglio. È come se la rassegna agisse da ricostituente e da catalizzatore per l’entusiasmo per tutta la filiera: editori, autori e lettori”, dice a Huffpost Sandro Ferri, che da poco più di quarant’anni insieme alla moglie Sandra Ozzola guida E/O, una delle case editrici più vitali e internazionali del nostro Paese. Questa, prosegue Ferri, “è una prima spiegazione di natura psicologica, vanno poi analizzate le motivazioni di mercato. In contesti come quello torinese si creano condizioni peculiari e favorevoli, tra cui un’ampia varietà di eventi e una partecipazione massiccia degli attori del settore. Si tratta di condizioni difficili da ricreare quotidianamente in libreria”. Sorvolo un attimo e torno sullo stesso intervistato, perché spiega Ferri, che “dopo la pandemia, una parte del pubblico tradizionale, composto dai cosiddetti lettori forti, ha iniziato a mostrare segni di stanchezza o comunque ha adottato una nuova filosofia d’acquisto. Questo ha portato a una riduzione dei ricavi, soprattutto per quanto riguarda la produzione editoriale più letteraria o di saggistica. Una forma di compensazione è costituita dai nuovi lettori, soprattutto giovani, che dimostrano maggiore interesse per generi come il fantasy e il romance”.
E ancora dalla testimonianza sulla differenza con le librerie: “Le fiere librarie, offrendo spazi ampi e diversificati, consentono agli editori di presentare l’intera gamma della loro produzione, sia tramite l’esposizione che attraverso gli eventi. Questa diversità attrae un pubblico più vasto e variegato, compresi molti giovani lettori”.
Aggiungerei che molti vanno al Salone per i personaggi, magari visti in televisione, di cui non leggono i libri, ma apprezzano la personalità e vogliono vedere dal vivo in carne ed ossa il loro beniamino (o insultare un “nemico”).
Ma l’articolo torna successivamente a dare dei numeri: ”D’altronde, l'offerta editoriale italiana è estremamente ampia, ma la sua fruizione rimane limitata. Su tutti i libri usciti nel 2022 neanche 35mila hanno raggiunto le 10 copie vendute. A dirlo è uno studio realizzato dalla società di consulenza Nomisma sulla base dei dati Istat per le Librerie indipendenti riunite da CAT Confesercenti Emilia Romagna. Negli ultimi dieci anni – fa notare la ricerca – le case editrici italiane sono diminuite da 5.491 nel 2012 a 4.623 nel 2021, con una caduta più pronunciata tra il 2012 e il 2015 (-13,2 per cento). Nonostante questo, la produzione di libri è in aumento dal 2016, con una sola eccezione nel 2020. Dopo un boom nel 2019, con 86.475 opere pubblicate, la produzione ha continuato a crescere nel 2021 segnando +4,3 per cento. Nel frattempo, nonostante gli ultimi due anni abbiano fatto registrare piccoli segnali di ripresa, sempre più librerie abbassano definitivamente la saracinesca. Diminuisce anche il numero di chi legge almeno due libri all'anno, passato dal 46,8 per cento del 2010 al 40,8 per cento del 2021”.
Insomma, c’è poco da stare allegri, anche perché i giovanissimi - ma capita anche alla mia generazione con diverse modalità, tipo il lavoro che ti invade gli spazi un tempo liberi - sono assorbiti enormemente dagli strumenti digitali con filmatini ipnotici alla Tic Toc, che diminuiscono il tempo di attenzione per l’orale e figurarsi per lo scritto, favorendo forme di scarsa alfabetizzazione di partenza. Tutto ben peggio del famoso e forse favolistico analfabetismo di ritorno.