La trasmissione in chiaro sulla Rai di una miniserie televisiva “Alfredino - Una storia italiana” ha riaperto una riflessione su un fatto di cronaca di molti anni fa. La fiction ripercorre l'incidente di Vermicino, celebre fatto di cronaca nera del 1981 in cui un bambino di sei anni, Alfredo Rampi, morì tre giorni dopo essere caduto accidentalmente in un pozzo artesiano, sprofondando prima a 36 metri, poi fino a 60 metri di profondità. Ero uno dei 21 milioni di telespettatori che più quaranta anni fa seguirono in diretta tv la vicenda notte e giorno in attesa del lieto fine che non ci fu.
Era il mio lo sguardo di un giovane giornalista televisivo, che si era pure convinto, in quel continuo alternarsi di pasticci nei soccorsi che causarono la morte del bambino, che forse solo uno come la guida alpina Renzino Cosson, piccolo e atletico e abituato a calarsi nelle fenditure dei crepacci per i soccorsi, avrebbe avuto la capacità di riportarlo in superficie senza danni. Ma fu anche, alla fine, una riflessione sul ruolo della televisione e della sua capacità ipnotica, specie di fronte alle tragedie altrui.
A fare da cronista della vicenda un giornalista galantuomo come Piero Badaloni, che fu incaricato dal direttore del TG Emilio Fede a garantire la lunga diretta e così Fede si è giustificato della scelta di mantenere la linea aperta e mandare una telecamera mobile sul posto: “Non è mai stata capita la scelta che nacque per esaltare la solidarietà, non la disperazione. Per raccontare le lacrime, le preghiere, il desiderio di salvare la vita. Far capire la speranza, il dovere e quindi la gioia di salvare”.
Badaloni, invece, qualche dubbio lo ha maturato: “Da allora molti programmi televisivi popolari della mattina e del pomeriggio cominciarono a cercare e a raccontare storie di dolore, convinti che solo in quel modo si potesse attirare l’interesse del pubblico e aumentare l’ascolto. Nacque la cosiddetta ”TV del dolore”. Un modo per stimolare solo curiosità morbosa, non certo partecipazione alle sfortune degli altri, come si voleva far credere”.
A influenzare questa tendenza fu non solo la vicenda di Vermicino, ma anche la scopiazzatura di format americani che scavano dentro la cronaca nera, che resta purtroppo un caposaldo nella curiosità umana e ormai in certe trasmissioni sono diventate un vero e proprio teatrino dell’orrore con un voyeurismo del Male che lascia stupiti se applicato, come capita, a drammi umani.
C’è una sintesi della tragedia, non a caso, sul sito del Dipartimento della Protezione Civile, che dimostra come dal male possa nascere anche un pezzo di bene, come si dice nelle ultime righe: “Il 10 giugno 1981 Alfredo Rampi, un bimbo di 6 anni, sta tornando a casa, nella campagna intorno a Frascati. È pomeriggio, pochi metri lo separano dall’abitazione dei nonni, ma non vi farà ritorno. Allarmati dal ritardo, i genitori iniziano le ricerche del figlio. Alle 21.30 decidono di chiamare la Polizia, che interviene sul posto con unità cinofile. Gli agenti localizzano il bambino intorno alla mezzanotte. I lamenti del piccolo Alfredo, per tutti Alfredino, provengono da un pozzo artesiano, coperto con un bandone di lamiera. Poco dopo arrivano da Roma anche i Vigili del Fuoco. Il pozzo è largo 30 centimetri e profondo 80 metri. Alfredino è bloccato a 36 metri. Subito si studia un modo per parlare al bambino, confortarlo, fargli capire che presto sarà libero. Viene calato nel pozzo un microfono. Per ore un Vigile del Fuoco cerca di tenere sveglio Alfredino e di non fargli perdere le speranze, raccontandogli storie e instaurando con lui un rapporto di fiducia.
Per eseguire uno scavo, necessario per le operazioni di soccorso, occorre con urgenza una trivella per cui viene lanciato un appello attraverso le emittenti radio-televisive. Alle 8.30 la trivella è disponibile e prendono il via i lavori. Nel frattempo, nella sede Rai di via Teulada iniziano ad arrivare le prime immagini dei soccorsi, con la voce del bambino catturata dal microfono calato nel pozzo. In chiusura del Tg1 delle 13.30 il bambino sta per essere tratto in salvo, ma purtroppo il tentativo di soccorso fallisce.
Il caso di cronaca locale, di cui si attende rapidamente il lieto fine, si trasforma quindi in un dramma partecipato, che si consuma sotto gli occhi di milioni di persone e stravolge i palinsesti per 18 lunghissime ore di diretta televisiva. L’emergenza di Vermicino tiene il Paese con il fiato sospeso, raccolto attorno a un lembo di terra dove i soccorritori provano il tutto per tutto per salvare il piccolo in una lunga sequenza di tentativi, in cui si alternano ottimismo e preoccupazione.
Il 12 giugno arriva a Vermicino anche il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, ed è ancora lì, accanto ai familiari del bambino, per l’ultimo disperato tentativo di trarre in salvo Alfredino. Sono le 5.02 del 13 giugno quando uno speleologo si cala nel pozzo, raggiunge il bambino e tenta di imbracarlo. Ritenta. Fallisce ancora. Quando torna in superficie annuncia ai genitori, all’Italia, che Alfredino è morto. La tragedia di Vermicino segna una dolorosa e importante tappa nella nascita del moderno Servizio Nazionale, che parte dalla presa di coscienza dei limiti del sistema dei soccorsi e della necessità di un maggior coordinamento delle risorse coinvolte nella gestione emergenziale”.
Infatti, qualche settimana dopo la tragedia, Franca Rampi, la mamma di Alfredino, ricevette una telefonata. Era Sandro Pertini, che era accorso sul bordo del pozzo: «Signora, per lei ho istituito un ministero della Protezione civile».