“Dovete essere umili!”. Questo l’interessante appello del Primo Ministro francese, Michel Barnier, ai suoi Ministri nella prima riunione di qualche giorno fa e prima del passaggio di ieri all’Assemblée Nationale.
Conoscendo Michel, non mi stupisco che abbia usato la carta dell’umiltà sia perché fa parte del suo aplomb sia perché la situazione instabile del suo Governo obbliga tutti a mantenere un profilo basso e cercare più quel che unisce di quel divide.
Sul bel sito “Una parola al giorno” si legge: “Una parola più difficile e sfaccettata di quanto sembri. L’umiltà può non essere quella descritta da Nietsche, il raggomitolarsi del verme pestato per evitare d’essere pestato di nuovo. C’è un nesso con la terra, una potenza primitiva che non si può trattare con arroganza e superiorità. Non l’ho messo nell’etimo perché non troppo accreditato, ma in sanscrito [bhumi] significa terra, e la creatura della terra è [bhuman]. Da cui [umano]. La superbia (super-bios, crescere sopra) è qualcosa di aereo che trascura il forte vincolo dell’umano con la terra da cui deriva. L’umile, probabilmente, è qualcuno o qualcosa di molto più autenticamente legato alla propria natura, che la com-prende in sé”.
Aggiunge un lettore un’osservazione arguta: “Senza contare che Adam (Adamo) deriva dall'ebraico adamà (terra)”. Con Dino Buzzati provo subito a sfrondare gli eccessi con una vena potente vena polemica: “Umili che non danno importanza a quello che fanno, benone! Che schifo, però, quelli che si autodenigrano. Quanto odioso orgoglio in chi si proclama verme della terra, infame peccatore, meritevole di ogni castigo, eccetera. Nel sottofondo c'è il pensiero: io so farmi piccolo, Dio mi apprezzerà. Ma perché mai Dio dovrebbe aver simpatia per tipi simili? Avete voi simpatia per chi vi adula e vi liscia da mattina a sera, proclamando voi un genio e proclamando se stesso un lurido pidocchio? Dio, spero bene, quando verrà l'ora, li prenderà a calci nel sedere”.
Allora, senza volare troppo alto, vale l’apparente rozzezza di Montaigne: “Anche sul trono più alto del mondo, si sta seduti sul proprio culo”.
Concordo, dopo tanti anni di politica, sulla necessità dell’umiltà, che naturalmente può avere tante e diverse interpretazioni.
Personalmente credo che debba essere soprattutto un riconoscimento che ho applicato sin da quando, per elementi di una qual certa causalità, mi sono ritrovato nel complesso agone politico e ci sono rimasto per tanti anni. Credo che l’umiltà in questo caso sia la necessità di essere sempre pronti a cogliere gli insegnamenti di chi ha più esperienza o anche più capacità di quanta tu ne abbia. Ho avuto l’evidente fortuna di fare una strana carriera politica, direi all’inverso di quanto avviene normalmente.
Sono partito, senza esperienze precedenti se non quelle avute da giornalista, dalla Camera dei deputati e per parecchio tempo, per poi salire altre scale in salita e in discesa. La mia fortuna è stata quella di guardare per imparare e per cercare di capire, attraverso l’umiltà necessaria. Questo è stato possibile, guardando a molte persone che ho incontrato e alle quali rubare capacità e comportamenti validi, specie quando mi sono trovato con incarichi nuovi e bisognava sforzarsi di non sbagliare e di risultare utile nelle cose che mi trovavo a fare.
Per cui posso definirmi umile? Credo, come tutti, di essere un misto di sentimenti e dunque di avere avuto anche momenti in cui ho peccato di superbia, vanità e presunzione. Invecchiare e capire meglio il mondo sicuramente migliora il proprio modo di essere. Non so se si tratti di saggezza – che mi sembra esagerato – ma forse si vedono, maturando, le cose in maniera diversa e si ha abbastanza memoria per ricordare certi propri errori, che si portano con sé, com’è giusto che sia.
Se uno dovesse consigliare qualcosa ai giovani, allora mi ritroverei in un passaggio di un libro di Zygmunt Bauman (1925-2017), sociologo e accademico polacco :“La nostra vita è un’opera d’arte – che lo sappiamo o no, che ci piaccia o no. Per viverla come esige l’arte della vita dobbiamo – come ogni artista, quale che sia la sua arte – porci delle sfide difficili (almeno nel momento in cui ce le poniamo) da contrastare a distanza ravvicinata; dobbiamo scegliere obiettivi che siano (almeno nel momento in cui li scegliamo) ben oltre la nostra portata, e standard di eccellenza irritanti per il loro modo ostinato di stare (almeno per quanto si è visto fino allora) ben al di là di ciò che abbiamo saputo fare o che avremmo la capacità di fare. Dobbiamo tentare l’impossibile.”