Adattamento. Dietro questa parolina, in fondo semplice, si gioca molto degli anni a venire per le Alpi e dunque per la Valle d’Aosta, che ne raccoglie - attraverso il suo sviluppo dai fondovalle alle alte cime - le tante caratteristiche, pur in un territorio piuttosto ristretto.
L’Agenzia europea per l’ambiente così dice: ”«Adattamento» significa anticipare gli effetti avversi dei cambiamenti climatici e adottare misure adeguate per prevenire o ridurre al minimo i danni che possono causare oppure sfruttare le opportunità che possono presentarsi”.
Anche sulle Alpi si discute di questo e si scrivono piani di azione per poter continuare a vivere. C’è un bel dossier sulla rivista francese Montagnes che racconta alcuni aspetti così sintetizzati nella presentazione:
”Selon l'adage, la montagne s'effondre ! Le Groupe d'experts intergouvernemental sur l'évolution du climat (Giec) explique que le dérèglement climatique est deux fois plus rapide en montagne qu'en plaine, mais il ne faudrait pas réduire les conséquences de ce réchauffement à des pierres qui tombent. Dans ce dossier, nous abordons les risques engendrés par la déstabilisation de nos glaciers toujours plus fragiles ainsi que les épidémies d'insectes responsables de la destruction progressive des forêts de montagnes”.
Due aspetti che conosciamo bene anche noi valdostani e credo che la mia generazione sia la prima che vede coi propri occhi, nel corso della propria vita, cambiamenti così evidenti da preoccuparci. Penso, nella quotidianità, a fenomeni come inondazioni con piogge violentissime, calori eccessivi con una scalata delle temperature medie, ghiacciai e permafrost che si sciolgono con montagne fragili con frane e distruzioni per chi vive in certe vallate e un terno al lotto fatto di rischi per chi abita le montagne e anche per chi le scala e le frequenta.
Un elenco che preoccupa e che viene declinato dagli esperti spesso con comprensibili toni allarmati, tuttavia bisogna farlo sempre in modo intelligente e mai estremistico per evitare l’impressione che ci sia ormai una logica così millenaristica da rassegnarsi di fronte ai destini.
Quel che mi ha colpito, nel profondo lavoro di inchiesta del giornale già citato, è l’editoriale introduttivo che vi riporto: ”Faudra-t-il un jour abandonner les vallées alpines trop exposées aux risques liés au changement climatique ? La question semble tout à la fois saugrenue, inopportune et embarrassante. C’est pourtant l’objet du débat qui a animé cet été la Suisse, après les violentes intempéries qui ont touché les cantons du Valais et du Tessin et qui ont occasionné un lourd bilan humain de six morts et d’importantes destructions. On doit l’idée au think tank néolibéral Avenir Suisse, qui a annoncé sans détour quelques jours après la catastrophe que le pays « ne pourra pas éviter de renoncer à certaines vallées », en évoquant la relocalisation de « réfugiés climatiques suisses ». Des déclarations qui ont bien sûr suscité une pluie de réactions au niveau fédéral et cantonal, toutes rejetant une vision qualifiée de « cynique », semblant tout droit sorti d’un logiciel de compta. Proposition totalement hors-sol ou prémices du débat futur qui animera nos sociétés?”.
Ovvio che posto la così la questione non si possa che rimanere del tutto perplessi, ma se di provocazione si tratta, che questo serva per non essere disattenti dei fatti reali e concreti, che obbligano non solo a descrivere gli eventi in corso ma a capire le contromisure necessarie per tempo. E in certe zone in effetti ci potrà essere la necessità di scelte drastiche.
Ancora l’editoriale: ”Pour l’heure, reste la question bien réelle de la transformation globale d’un environnement sous l’effet du réchauffement climatique, qui modifie notre rapport au territoire et à notre façon de l’habiter, entre risques proglaciaires, dépérissement de la forêt et raréfaction de l’eau. Et celle, immédiate et concrète, de la façon se reconstruire ces vallées dévastées. (…) Autant de sujets dont il est urgent de s’emparer, pour tenter d’atténuer le choc face aux bouleversements qui s’accélèrent et pour faire de nos territoires de montagne des lieux de vie durables et résilients”.
Nei millenni passati questa sfida di vivere in un ambiente mutevole e a rischio, anche per la brevità della vita umana, era assunta dalle catene generazionali che si susseguivano in una logica di longue durée.
Ora tutto è più breve e più rapido, così come dev’essere veloce la nostra capacità di adattamento per quanto c’è già e per quanto verrà.