Ci sono parole polimorfe, che associamo cioè a oggetti o pensieri che le rendono così varie e anche capaci di trasformarsi nel tempo.
Se penso alla parola ”rete” mi vedo bambino che inseguo un pallone nella speranza di gridare la parola con il punto esclamativo, dopo aver segnato un gol.
Oppure mi vedo alla stessa età entrare nel magazzino nel porto di Oneglia di un medico amico di mia mamma, che aveva la passione della pesca e aveva bellissime reti sul muro per prendere i pesci.
La rete può essere banalmente quella del letto o usata nella nota espressione ”senza rete”, quando un trapezista decide di far venire i brividi allo spettatore di un circo. Si può cadere in una rete di inganni o di truffe.
C’era già un ”fare rete”, che aveva un che di militante, mentre la rete di amicizie fonda la nostra socialità e oggi questo avviene con lei, la Rete maiuscola, che significa connessione, come in fondo già lo erano la rete stradale, ferroviaria, elettrica, telefonica, telegrafica, così come le reti televisive che numeriamo.
Oggi navighiamo nella Rete attraverso il noto sistema di collegamento e interscambio di dati tra sistemi informativi a livello planetario e ormai nella ragnatela del Web ci siamo tutti.
Mi baloccavo con questi pensieri, mentre ero in queste ore al Sommet de la francophonie, che cosi si fonda nel definirsi: “La francophonie, ce sont tout d’abord des femmes et des hommes qui partagent une langue commune, le français”.
Questa volontà è diventata un’organizzazione, che ha nel Sommet il suo culmine e passa attraverso l’Organisation internationale de la Francophonie (OIF). In breve: ”Fondé en 1970, l’OIF rassemble 88 États et gouvernements membres, associés et observateurs. L’organisation est dédiée à la promotion du français et à la mise en œuvre d’une
coopération politique, éducative, économique et culturelle”. In queste ore, me compreso, la Valle d’Aosta ha partecipato ad una due giorni, prima nella Cité internationale de la langue française a Villers-Cotterêts e poi a Parigi.
Come mi è capito in assise di questo genere ci sono pro e contro. Fra le note negative un cerimoniale ormai datato con arrivi delle autorità con protocolli lunghi e noiosi, così come discorsi ufficiali fiume, ormai anacronistici per i gusti attuali con un crescente malvezzo di neppure seguire l’oratore du gran parte del pubblico, perché distratto dallo schermo del proprio telefonino.
Fra i pro ci sono le conoscenze che ritrovi e quelle nuove, che cementi nello scambio dei propri biglietti da visita. È positivo il gran chiacchiericcio in un ambiente multiculturale, fatto da una francofonia plurale e con diversi accenti, che sdogana senza complessi il francese che noi parliamo. Un particolarismo linguistico di cui dobbiamo essere grati perché ci consente un perimetro diverso dagli altri.
Interessante un documento finale su di una materia, il digitale, che seguo nel mio lavoro. Lascio qui un passaggio del lungo appello, rinvenibile sul sito della Presidenza francese: “Source de progrès et d’opportunités, la transformation numérique soulève également des défis pour les Etats et gouvernements membres de la Francophonie. Ces défis sont multiples : lutte contre les fractures numériques et pour l’inclusion, protection des droits fondamentaux, promotion du pluralisme des courants de pensée et d’opinion, maintien de l’intégrité des processus électoraux ou encore promotion et protection du droit à bénéficier d’une information fiable et de qualité, comme de celui d’être protégé des contenus trompeurs, malveillants ou haineux et des discriminations sous toutes leurs formes”.
Insomma: non si parla e non si discute solo rispetto al proprio ombelico, ma rispetto ad un insieme di interscambi che rafforzato tutti gli interlocutori.