Ho incontrato in politica gente fastidiosa. Nulla di straordinario, perché gli eletti sono la rappresentazione della società nel bene e nel male. E lo si vede dalla più generale crisi del suffragio universale con le sue conseguenze.
Su Treccani trovo un interessante articolo della linguista Rosa Piro, che serve a segnalare e a inquadrare chi considero i peggiori.
L’incipit è esemplare: “La mosca è un animale fastidioso, è risaputo, e per le sue caratteristiche, di cui ogni essere vivente fa esperienza, si ritrova citata in alcuni modi di dire che ne rimarcano la sgradevole ostinazione a importunare chiunque prenda di mira. In araldica, inoltre, l’immagine della mosca è usata come elemento decorativo di blasoni nobiliari: l’insistenza nel molestare infatti è stata assimilata, in questi casi, alla tenacia nella battaglia (Volpicella 2008: 221). Tra le espressioni più famose in cui ricorre il nostro insetto segnaliamo essere il figlio della mosca bianca o essere una mosca bianca per indicare una persona che ha doti rare all’interno di un gruppo; (…) e, infine, fare la mosca cocchiera con cui si suole additare chi, pur non avendone capacità e requisiti, si illude o si vanta di possederli, pretendendo di guidare altri o di assumersi responsabilità”.
Ecco! La mosca cocchiera, meraviglioso esempio di certi personaggi che agiscono in politica.
Prosegue la spiegazione: “L’espressione è la traduzione italiana del modo di dire francese (faire / jouer) la mouche du coche, ossia ‘(fare / comportarsi come) la mosca della carrozza, come la mosca cocchiera’ con cui in francese si allude a un aiuto molto vantato ma in realtà inconsistente (Biason 2002: 243). L’espressione si diffonde in francese dopo la pubblicazione delle favole di Jean de La Fontaine nel 1671, tra le quali si trova la favola - che riprende un testo di Fedro, antico favolista romano - La coche et la mouche”.
Leggiamola nella traduzione di Emilio De Marchi: “Per una strada lunga, erta, sassosa e tortuosa, esposta al sole, procedevano a stento sei robusti cavalli, tirando una Carrozza. I viaggiatori, donne, vecchi e frati, avendo pietà dei cavalli, erano scesi: i cavalli sudati e trafelati erano lì lì per cedere, quando arriva una Mosca, che volando, punzecchiando di qua, ronzando di là, pensa che tocchi a lei spingere la carrozza. Si posa sul timone, poi siede sulla punta del naso del cocchiere e quando vede che la carrozza bene o male cammina, si imbaldanzisce tutta la sciocchina. Va e viene e si riscalda con la boria di un grande ufficiale, quando spinge in battaglia i soldati dispersi verso la vittoria.
- E non vi pare indegno, - pensava quella stolta bestiola, - che a spingere sia sola, mentre quel frate legge tranquillamente il breviario e questa donna canta? Forse che cantando si tira la carrozza? -. Intanto che l’insetto ronza queste note moleste, la carrozza arrivò su in cima. E la Mosca: - Buon Dio, siamo finalmente arrivati su queste alte colline. Ehi, signori cavalli, ringraziatemi, la strada diventa pianeggiante, dovreste pagarmi per ciò che ho fatto! -. Così fanno certi arruffoni che in alcune iniziative sembrano essere indispensabili e invece rovinano tutto, gente importuna, inutile e noiosa (La Fontaine, Favole, VII, IX)".
Scrive la Piro: “Benché il personaggio di Fedro e La Fontaine abbiano caratteristiche simili, in italiano è passata soprattutto la morale mediata dalla favola di La Fontaine, da cui emerge il comportamento di chi si attribuisce meriti che non ha in imprese realizzate da altri”.
Pare che si il celebre poeta, Giosuè Carducci, a rendere popolare l’espressione “mosca cocchiere” in una polemica letteraria nel 1897.
Così conclude l’autrice: “A partire dai primi anni del Novecento, l’espressione fu ripresa soprattutto negli ambienti e nei partiti della sinistra italiana. Filippo Turati la userà in uno scritto del 1913, in una feroce critica agli avversari politici, per indicare una «persona che crede e vuol far credere di avere qualche funzione importante di direzione» (…) All’interno di contesti e dibattiti politici, ancora una volta chiaramente polemici, anche Antonio Gramsci si servì a più riprese dell’espressione per apostrofare gli intellettuali (non risparmiò nemmeno Benedetto Croce), gli avversari e quindi i fautori dello stato fascista, a partire proprio dal futuro duce che avrebbe definito, nel 1924, mosca cocchiera. (…) Dopo Gramsci, l’espressione divenne comune negli ambienti del Partito Comunista, come ci ricorda il libro di Franca Chiaromonte e Fulvia Bandoli, Al lavoro e alla lotta. Le parole del PCI (Roma, Harpo, 2017), in cui tra le 180 espressioni nate in seno al PCI, tra cui bottegone, gatto selvaggio, tigre di carta, compare anche mosca cocchiera”.
Mi piacerebbe su questa definizione, ampiamente descritta, mettere foto di persone fisiche (individui in carne e ossa!) che corrispondono per facile constatazione al modello…