Utilizziamo i cookie per personalizzare i contenuti e analizzare il nostro traffico. Si prega di decidere se si è disposti ad accettare i cookie dal nostro sito Web.
19 ott 2025

Appuntamento con il tartufo

di Luciano Caveri

Oggi sulla mia tavola apparirà il tartufo, naturalmente bianco, che è il mio favorito. Si tratta di un appuntamento autunnale da non perdere, che fa rituale e tradizione.

Amo la convivialità e trovo che a tavola si cementino grandi amicizie e il gusto della conversazione che altrove si sta rarefacendo.

Lo scrittore Lorenzo Cairoli così ha commentato il tartufo su La Stampa: “Per Plinio il tartufo era un callo della terra. Per Brillat-Savarin il diamante della cucina. Per Rossini, il “Mozart dei funghi”. Secondo gli antichi saggi, il loro abuso provocava malinconia. Rasputin lo prescriveva allo zar Nicola e allo zarevic Aleksej per curarne l’emofilia. Napoleone e il marchese de Sade ricorrevano al tartufo nei loro tenzoni amorosi : entrambi lo consideravano un afrodisiaco eccezionale. Il suo intenso profumo, ricorda alla peruviana Isabel Allende “quell’odorino di aglio e sudore che ristagna sui vagoni della metropolitana di New York”. Al naso di Pat Conroy, invece, il tartufo fa uno strano effetto “ha un’aroma caratteristico come quello della marijuana ; ti dà l’idea dell’odore che un albero deve sentire di se stesso”.

Il fatto che non sia per nulla banale come cibo lo dimostra questa varietà di commenti e lo si può altrettanto registrare nei commensali.

Sia chiaro che anche se il nome scientifico è “Tuber”, seguito dai descrittivi che esemplificano le tipologie, il tartufo è un fungo ipogeo, che vive in simbiosi con le radici di alcuni alberi. Non è una patata, non è un tubero, non è una radice. È un fungo.

Per molto tempo i linguisti, nello studiare l'etimologia della parola, partivano dal tardo latino "terrae tufer", mentre oggi pare certo che la parola viene dalla somiglianza - notata in epoca medioevale - fra il tubero e il tufo, la ben nota pietra porosa, da cui la catalogazione naturalistica "terra tufule tubera". Da lì anche il piemontese "trifula" e il cercatore "trifulau" con il suo indispensabile cane da ricerca. Parola poi emigrata in Francia con "truffe" ed in Inghilterra con "truffle". Faccio notare, a proposito dei cani, che il naso dei cani viene chiamato "tartufo". Non mi si dica che è un caso...

E' un mondo interessante quello del tartufo, di cui mi occupai, scrivendo una proposta di legge di tutela del prodotto e dei consumatori. Attorno al tartufo, mondo fiorente per via delle quotazioni, c'è come dappertutto un sottobosco inquietante, che gli onesti combattono, fatto di sofisticazioni ed uso spregiudicato persino di idrocarburi nocivi.

Torno a Cairoli: “Guido Piovene nel suo “Viaggio in Italia” definiva il tartufo “essere misterioso, che rende misteriosi anche gli uomini nell’andarne a caccia” . Perché i cacciatori di tartufi – i trifulau – quando scoprono una riserva, continuano il loro giro simulando indifferenza per non attrarre l’attenzione degli altri. Dopo pranzo vanno al caffè, e alla solita ora fingono di tornare a casa per coricarsi ; invece escono in segreto con una lanterna cieca e un cane silenzioso”.

Quando si mangia del tartufo di qualità tra profumo e apprezzamento delle papille gustative, è difficile farsi ingannare e resta un'esperienza importante, che parte da un prodotto povero e semplice che ha raggiunto quotazioni da capogiro perché sa sposarsi con piatti che restano nella memoria, come la fonduta di "Fontina", l'uovo al tegamino, la carne cruda e i semplici "tajarin" (pasta all'uovo).

Roba da leccarsi i baffi!