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18 ott 2025

Lo Pan Ner

di Luciano Caveri

La cooperazione transfrontaliera è come un enorme puzzle a geometria variabile e vale dagli accordi fra zone di prossimità sino a possibili terreni di lavoro fra territori più distanti. Una gamma di accordi, che hanno disegnato nel tempo una politica diversa da quella fra Stati, più agile e concreta delle vecchie logiche diplomatiche.

Verrebbe da dire un modo di incontrarsi e collaborare su dossier molto tangibili e si potrebbe usare per rappresentarlo l’antico proverbio “pane al pane, vino al vino”.

Da dieci anni è nato un termine singolare e assieme sostanziale, verrebbe da dire fragrante, e cioè "pane nero transfrontaliero", che si riferisce alla festa "Lo Pan Ner" (in lingua francoprovenzale), un evento che celebra il pane nero di segale tipico delle Alpi.

La segale è stata per secoli il cereale per eccellenza della montagna per la sua resistenza al freddo, la crescita in altitudine e il ciclo vegetativo adatto alle condizioni estreme. Ricordo certi campi di giallo dorato.

Le Alpi, cui ho dedicato molto della mia attività politica, sono lo scenario e mi viene in mente il grande cantore della civiltà alpina, il caro amico Paul Guichonnet, che scriveva: “Les Alpes sont, certainement, les montagnes les plus singulières et attachantes de la Terre. Aucœur du continent européen, berceau de la civilisation industrielledéveloppée, elles séparent et unissent, tout à la fois, le monde méditerranéen et les façades nordiques et océaniques du continent, dont elles constituent l'ossature majeure”.

La manifestazione in corso in questi giorni rievoca l'antica tradizione contadina della panificazione, con attività come la cottura nel forno comune per necessità vitale di un alimento prezioso.

A dare il respiro alpino la vastità del progetto: forni accesi nei comuni della Valle d'Aosta, del Piemonte, della Lombardia e dei cantoni svizzeri, della Slovenia e della Francia. Oltre alla cottura del pane nei forni comunitari, la festa include eventi culturali, escursioni e degustazioni.

Il pane nero di segale, talvolta mischiato ad altre farine, è un pane rustico, dal colore scuro, crosta dura e mollica compatta.

A me piace anche quando è duro come il marmo e bisogna tagliarlo a tocchi con l’apposito “copapan”, un coltellaccio con accluso tagliere in legno.

La storia di questi pani, cotti nei forni di villaggio segno della capacità cooperativa nelle comunità, è raccontata bene nel sito apposito della Valle d’Aosta: “Il pane di segale, simbolo della vita di altri tempi, era indispensabile per il nutrimento e comportava un anno intero di fatica per la coltivazione del cereale e per la produzione del pane stesso. Ogni villaggio aveva le sue strutture pubbliche: cappelle, scuola, latterie e forni, opere importanti e caposaldi per la religione, la cultura e l’alimentazione.

Ogni villaggio aveva il suo forno. La panificazione, fase importante per l’alimentazione, era anche considerata un momento di festa e di socializzazione. La produzione del pane era generalmente limitata al periodo compreso tra Santa Barbara, agli inizi di dicembre, e la vigilia di Natale.

Poche erano le famiglie che potevano produrre pane più volte nei diversi periodi dell’anno. La produzione del pane coinvolgeva le famiglie e la comunità con ruoli ben precisi per tutti. Le donne impastavano la farina e realizzavano le forme di pane che gli uomini cuocevano. I bambini aspettavano con ansia la cottura dei galletti che gli adulti preparavano per loro. Questo pane povero, scuro e duro rappresentava anche per i nostri emigrati e soldati, che lo assaporavano a piccoli pezzi, la loro casa, il loro villaggio.

Oggi non pochi sono i giovani che investono in una agricoltura di ritorno, noncuranti di un progresso che ha trasformato il pane in un prodotto di diffusione commerciale; oltre ad una fonte di reddito esiste la volontà  di ridare al pane il ruolo di protagonista, di recuperare le tradizioni con le loro emozioni”.

Per questo forni dismessi sono stati ristrutturati e quel fuoco che arde al loro interno è diventato un simbolo contro lo spopolamento della montagna.

Il pane ha una storia antichissima che si intreccia con le origini dell’agricoltura e della civiltà umana e mi piace molto, nei miei viaggi, gustarne le infinite versioni.

E la parola stessa, evocatrice di un gusto che premia il nostro palato, è straordinaria: il latino pânis risale a *pas-nis, dalla radice di pascěre 'nutrire' insieme a pastus 'pasto' e pastor 'pastore'.

Insomma, tutto un mondo, di cui sono fiero di fare parte.