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17 ott 2025

Marcel Bich e la sua biro

di Luciano Caveri

L’altro giorno, sul settimanale OGGI, leggo la risposta del Professor Vanni Codeluppi, Ordinario di Sociologia dei consumi, UniModena e R. Emilia, alla domanda su chi abbia inventato la penna a sfera.

Nella risposta, il docente parte da distante: “Il suo nome è John J. Loud, avvocato laureato ad Harvard, conciatore ed inventore, nato il 2 novembre 1844. Nella sua attività di conciatura spesso si trovava a dover segnare la pelle per indicare dove tagliarla e aveva scoperto che non poteva farlo con una matita e che una penna stilografica era troppo complicata da usare. Questa sfida lo ha ispirato a creare uno strumento di scrittura con una piccola sfera metallica rotante tenuta in posizione in una cavità”. Malgrado il brevetto, la penna non funzionava perfettamente.

Ci spostiamo, allora, nel secolo successivo: “Ed è qui che entrano in gioco l’ungherese László Bíró e suo fratello, György. Come Loud, anche Bíró ha creato la sua versione della penna a sfera in un impeto di frustrazione: in quanto redattore di giornale, aveva bisogno di una penna con un inchiostro che si asciugasse rapidamente e non lasciasse sbavature. Lavorando al quotidiano, si era reso conto che l’inchiostro utilizzato per la stampa si asciugava rapidamente e in genere risultava privo di sbavature. Successivamente ha presentato questa idea a suo fratello György, un chimico, nella speranza di creare qualcosa che facesse al caso suo”. Riescono nell’impresa e un loro modello diventa popolarissimo in Argentina.

Ma poi sopravviene un valdostano, di cui dico più di quanto abbia scritto il Professor Codeluppi. Si tratta di Marcel Bich, che acquisì la licenza del brevetto della penna a sfera di László Bíró e apportò modifiche e innovazioni fondamentali per trasformarla in un successo mondiale e la produzione iniziò nel dicembre del 1950 e dunque ci avviciniamo al 75esimo compleanno.

Quali le sue migliorie rispetto agli ungheresi?

Drastica riduzione dei costi di produzione: Bich perfezionò il processo di fabbricazione per produrre penne a sfera in massa a un prezzo molto basso, rendendole accessibili a tutti.

Utilizzò macchinari di precisione (ispirati all'orologeria svizzera) per fabbricare la sfera della punta e, soprattutto, optò per la plastica per il corpo della penna.

Miglioramento dell'affidabilità: lavorò incessantemente per sviluppare una formula di inchiostro con una viscosità perfetta che non perdesse e non si seccasse, risolvendo così i problemi delle prime versioni di Bíró che tendevano a sbavare o ad avere un flusso d'inchiostro irregolare.

Design funzionale e minimalista: la penna divenne la celebre BIC Cristal (lanciata nel 1950), caratterizzata da: Un corpo trasparente che permetteva di vedere il livello dell'inchiostro.

Una forma esagonale (come una matita) per una migliore presa e per impedirle di rotolare su superfici inclinate. Il foro nel fusto per bilanciare la pressione interna ed esterna e prevenire perdite.

Concetto della penna usa e getta: rendendo la penna così economica, Bich la trasformò in un prodotto monouso, da gettare via una volta esaurito l'inchiostro, anziché qualcosa da ricaricare (contrariamente all'idea originale di Bíró).

Ho conosciuto Marcel Bich nel 1991, quando aveva 77 anni, in occasione della consueta festa estiva degli émigrés valdôtains. Quell'anno si svolgeva a Châtillon, io ero deputato e fu il mio collega senatore, César Dujany, che lo conosceva già, a presentarmelo. Benché nato a Torino, le sue radici erano valdostane, visto che i Bich - con illustri esponenti - sarebbero arrivati in Valle nella seconda metà del Trecento, chiamandosi "Bicchi" o "Bichi", per sfuggire alle sanguinose vicende fra guelfi e ghibellini (e loro, senesi, erano di questa fazione, favorevole all'Impero) nella Toscana del tempo. Era fiero delle sue radici valdostane e del suo titolo di Barone. Carattere difficile e gran lavoratore non versato alle relazioni pubbliche, aveva ostentato negli anni Settanta il suo "essere francese" finanziando, senza successo, la barca a vela "France" nella "Coppa America".

Da distante guardava la comunità valdostana a Parigi, inviando premi per la "Tombolà" (accento sulla a) annuale dell'"Arbre de Noël" de Paris. Per capire il fenomeno dell'émigration basti il dato impressionate del mezzo milione di francesi di origine valdostana! Poi, con l'invecchiamento, Bich cominciò a tornare in Valle e ad apprezzare queste sue montagne di origine e, da buon Barone, anche le ereditate radici nobiliari e l'illustre lignaggio. Tornò, insomma, da dove erano partiti i suoi avi, regalando alla Regione di Ussel con una dotazione per rimetterlo in sesto. Purtroppo nel 1998, quando il maniero ristrutturato venne inaugurato era già morto da quattro anni.

Bich divenne miliardario, Bíró morì povero, ma in italiano la "biro", come parola esiste, a suo imperituro ricordo. Ma perché Bich fece sparire la h? Per il marchio industriale tolse la "h" dal nome di famiglia, ma anche in Valle ci sono dei "Bic", capendo che la dizione in francese (genere "biche", che è "cerva" o "cocchina") o peggio in inglese ("bitch" sarebbe "baldracca").

Concreto anche in quella scelta.