L’interrogativo può nascondere vari pensieri. Mi butto o non mi butto?
Mi viene in mente una qualche immagine di me da bambino di quando, al mare, sceglievo luoghi sempre più elaborati per tuffarmi.
In ”Io non ho paura” di Niccolò Ammaniti c’è questa citazione, efficacemente descrittiva: ”Per Max, provarci era uguale a un tuffo da uno scoglio alto. Ti affacci, guardi sotto, torni indietro e dici chi me lo fa fare, ci riprovi, esiti, scuoti la testa e, quando tutti si sono buttati e si sono rotti di aspettarti, ti fai il segno della croce, chiudi gli occhi e ti lanci giù urlando”.
E allora, vien da dire, bisogna nella vita buttarsi o no nelle cose?
So che ci sono diverse filosofie sul tema.
Personalmente sono un interventista e può essere che questo possa aver alimentato l’idea che io sia antipatico. Spesso vince, invece, chi traccheggia.
Verbo interessante ”traccheggiare”, che sarebbe indugiare, prendere tempo per rimandare una decisione, tergiversare. È divertente la probabile origine onomatopeica, derivante dalla sequenza tric-trac o tricche-tracche per indicare un movimento oscillatorio che non va in nessuna direzione.
Fa il suo pari l’idea di chi vuole piacere a tutti e muta il suo modo di essere, a seconda delle convenienze. Quindi non si butta mai, resta sospeso a mezz’aria in una bolla di ambiguità. Ed io credo, viceversa, che si debba scegliere e questo è il fondamento dell’impegno politico e bisogna farlo con il necessario trasporto e seguendo le proprie convinzioni. Queste non possono essere banderuole.
Ci scherzava lo scrittore tedesco Heinrich Heine: ”‘La banderuola sul campanile, sebben fatta di ferro, sarebbe presto infranta dal vento di tempesta se non comprendesse la nobile arte di volgersi ad ogni vento”.
Nobile arte…
Tuttavia, penso che si debba essere diretti. Il che naturalmente non vuol mai dire essere cocciuti. Se bisogna buttarsi dentro i problemi, bisogna anche essere attenti all’ascolto e farlo con franchezza.
Sorrido pensando ad un politico valdostano che non c’è più. Andavo da lui e dicevo la mia su problemi da risolvere, anche in contrasto con le sue idee. La volta successiva dimostrava di aver sposato le mie posizioni, ma facendo come se fossero sempre state le sue, senza minimamente ammettere di aver cambiato il suo pensiero!
E invece questo fatto di avere sulle cose un pensiero laterale (o lateral thinking, termine coniato dal medico e psicologo maltese Edward de Bono) significa avere la capacità di affrontare problemi e situazioni da prospettive diverse.
Sarebbe nient’altro che rompere gli schemi di pensiero tradizionali e la logica strettamente razionale per trovare soluzioni creative e non convenzionali, che servono ad uscire dagli schemi e a far nascere idee nuove.
Diceva De Bono: ”Molti pensano che il pensiero sia solo intelligenza in azione; invece, è anche emozione, percezione e direzione ”.
Mi piace questa cosa delle emozioni, che non vanno trattenute, perché fanno parte di noi e forse non saranno bussole sempre esatte, ma fanno parte di questa lateralità che evita di percorrere sempre le stesse strade già viste.