La parola "virtù" è oggi meno usata di quanto avvenisse in passato nel linguaggio comune e anche in quello politico, perché percepita come arcaica o moralistica, nonostante la sua profondità.
L’origine è una parola areté (in greco ἀρετή), che non non esiste come parola nel vocabolario italiano, ma da cui non si può prescindere perché il portato di questa parola si è trasferito nel latino virtus (da vir, uomo), da cui discende appunto virtù.
Nel greco classico, areté significava eccellenza, valore, compimento della propria natura. Non era solo “virtù morale”, che oggi caratterizza la parola, ma la capacità di essere il meglio possibile nel proprio ruolo o funzione.
Nel passaggio dal latino al volgare, virtus diventa virtute, da cui virtù, e il termine resta centrale nel pensiero medievale e rinascimentale.
Per il cristianesimo la virtù diviene la disposizione naturale a fuggire il male e fare il bene in sé stesso. A queste si aggiungono le virtù teologali (fede, speranza, carità), infuse da Dio nell'uomo.
La frase latina “In medio stat virtus” si traduce in italiano come "La virtù sta nel mezzo" ed è su questo che voglio ragionare, essendo sempre più stufo degli eccessi, delle logiche divisive, della politica gridata che trasforma il confronto democratico in rissa continua.
Più passano gli anni e più credo che la via migliore si trovi nella moderazione tra due estremi. È un concetto legato alla filosofia classica, in particolare all'idea aristotelica del "giusto mezzo", dove la virtù si trova nell'equilibrio tra opposti. Un esempio: Il coraggio è la disposizione d'animo che ci permette di affrontare il pericolo nel modo e nel momento giusto (il mezzo). Chi eccede in questo è temerario (si espone stupidamente), chi difetta è vile (non affronta il pericolo quando dovrebbe).
In sintesi, la virtù non è innata, ma si acquisisce con l'esercizio e consiste nella capacità di trovare e perseguire quell'eccellenza equilibrata guidata dalla ragione, che dovrebbe essere propria dell’essere umano.
Paroloni? Non credo. Si tratta di buonsenso. Mai come oggi vale questo atteggiamento in politica in un equilibrio tra estremismi ideologici, evitando quelle polarizzazioni che stanno dividendo la società e creano fenomeni gravi come il disimpegno dalla politica e la scelta di disertare le urne.
Contro la retorica divisiva fatta di slogan e di violenza verbale enfatizzata dai Social, la Politica deve reagire al populismo volgare ed aggressivo, riscoprendo il valore morale della centralità dei meccanismi democratici, moderando toni e atteggiamenti.
Ci vuole - e penso che il particolarismo politico valdostano a questo debba rifarsi - un approccio che privilegi il compromesso e la stabilità. Lo definirei un pragmatismo virtuoso, che implica responsabilità, trasparenza e visione a lungo termine.
Chi pensa, al contrario, che tutto debba essere eccessivo, incendiario, polemica violenta e scontro perenne va isolato nel suo cocciuto estremismo.