"Bisogna amarsi molto per suicidarsi". Così scriveva Albert Camus e vorrei che questo valesse per il mio amico Sergio Badellino, grande avvocato penalista torinese, che ieri ha deciso di uccidersi con un colpo di pistola. Sergio era un uomo all'antica, tutto d'un pezzo, un conservatore di estrema destra per eccellenza, ma anche un bon vivant cui piacevano la motocicletta, la vela, l'immersione subacquea e su tutto la montagna, anzi la Valle d'Aosta. Il suo lavoro lo portava a girare aule di Tribunale e la Cassazione con storie le più varie: dai grandi delitti (come il celebre "caso Pan") al terrorismo (fu parte civile di alcune vittime e girò armato per anni perché condannato a morte della "Brigate Rosse"), da "Tangentopoli" agli scandali calcistici, da processi di mafia alla difesa del "Parco del Gran Paradiso" (per questo i bracconieri non lo amavano ma gli volevano bene i guardaparco). Ma il suo "buen retiro", da quando era ancora ragazzino con i genitori, era stato Cogne, cui lo legava un affetto particolare e non solo per le bellezze del Parco e di tutte le montagne che aveva scalato, ma perché con i "cognein" si sentiva in sintonia e pensava, una volta lasciata la professione, di spostarsi lì, perché quello era il posto da lui preferito, dove si sentiva a casa. Nel lavoro era pignolo e studiava le cause e tutta la giurisprudenza con minuzia e sino in Cassazione non gli sfuggiva neanche una virgola e, per questo, apparteneva al novero dei penalisti più quotati. Coltivava le amicizie seguendo un'istintiva simpatia nei confronti delle persone, cui elargiva la sua saggezza torinese, acuta e talvolta sprezzante, ma con una lucidità rara amava ragionare attorno alle cose. Sergio se ne va, prendendo uno dei sentieri delle "sue" montagne. Lo fa con il passo cadenzato dell'atleta, forse voltandosi un'ultima volta con un sorriso, evitando frasi di circostanza perché non amava la retorica e le sue arringhe erano asciutte ed efficaci. Un colpo di pistola lo allontana dalla vita, ma resterà nelle vite di noi suoi amici.