Non mi era mai successo a Ginevra: un volo per Bruxelles cancellato perché l'aereo è atterrato a Zurigo e quello successivo - quando sono a bordo speranzoso - resta a terra e i passeggeri sbarcano attoniti, essendo stato chiuso l'aeroporto. La causa di tutto una nevicata che, pur prevista, blocca la Svizzera, Paese alpino. Nulla da tregenda ma la neve ormai è un fatto straordinario, tanto da bloccare migliaia di viaggiatori, che diventano ostaggi. In un caos di bagagli sbarcati e da ritirare e di code furibonde alle biglietterie, inizia la notte. Non c'è una stanza d'albergo libera a Ginevra e dunque la stanza diventa l'aeroporto: tutti a cercarsi un angolino, prevalentemente per terra, in una specie di accampamento multietnico. I bar chiudono lasciando passeggeri affamati e assetati, mentre il domani è incerto per voli brevi e lunghi. Una voce al microfono, unica espressione della civiltà elvetica, invita a rientrare a casa con mezzi propri, perché quelli pubblici sono in tilt. Ho provato a dormire, ma tra russare, tossire, corse di ragazzini, capannelli di ciucchi, computer e telefonini a gogò è meglio la veglia. Per fortuna, in piena notte, "arrivano i nostri". Alcuni addetti - questi erano gli ordini - arrivano con decine di alberi di Natale rosso fuoco per gli addobbi di fronte agli occhi straniti del mondo dei passeggeri furizombie (neologismo che mi permetterete). Dal vostro cronista notturno: passo e chiudo.