Enrico Letta "sale" a palazzo Chigi, con un evidente cambio generazionale in vista del "Governissimo", la cui geometria pare essere ancora piuttosto variabile. Conoscendolo da tanti anni e apprezzandolo per le sue doti politiche e umane, come la capacità d'ascolto e la flemma nel trovare soluzioni ragionevoli, plaudo alla scelta, anche se mantengo una qualche riserva sulla logica della "Grosse Koalition" per usare un termine in tedesco e non suoni consolatorio pensare che peggio del Governo dei tecnici di Mario Monti sarà difficile fare. Posso dire che, senza essere smentito, Enrico è un amico, con cui ho condiviso - lui era già Ministro - l'esperienza governativa come Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio nel D'Alema Bis (lui continuò l'esperienza con il Governo Amato, quando io divenni parlamentare europeo e dovetti declinare, per incompatibilità, l'invito dello stesso Giuliano Amato di restare al Governo, forse con una promozione). Lo ritrovai da Presidente - e lui era Sottosegretario alla Presidenza di Romano Prodi - a trattare con lui dossier importanti per la Valle, e mi accoglieva sempre con grande gentilezza nel suo ufficio a Palazzo Chigi. In questi anni, come spesso capita, erano gli amici comuni a portarci i reciproci saluti. Ricordo in particolare con grande piacere quando, il 1° ottobre del 2007, - c'era anche l'allora Rettore del Politecnico di Torino, Francesco Profumo - visitò l'ex "Cotonificio" di Verrès, rimanendo stupito della straordinarietà della ristrutturazione e della collaborazione fra Valle d'Aosta e Politecnico, poi ridimensionata dalla Giunta Rollandin con sgarbo e scarsa lungimiranza politica. Letta aveva parlato di «speranza per il futuro» e mi aveva fatto piacere. Oggi si appresta ad un compito improbo, ma con la "protezione" del vecchio saggio, Giorgio Napolitano, che davanti ai suoi elettori, all'atto del giuramento a Montecitorio, ha brandito la spada, dicendo senza mezzi termini che, senza accordi sul Governo, si torna subito al voto. Seguiremo gli sviluppi.