La Natura registra spesso dei fenomeni di difficile lettura, che mettono a dura prova le nostre conoscenze scientifiche e spesso aprono la strada alle teorie più varie e pure strane. Leggevo da qualche parte di un'inquietante profezia di quella bizzarra personalità che fu Albert Einstein: «Se l'ape scomparisse dalla faccia della terra all'uomo non resterebbero che quattro anni di vita». Questa previsione inquieta proprio perché le api rischiano davvero di scomparire. Non è affatto allarmismo, ma si tratta di una triste realtà per chiunque siano affascinati - e penso che siano molti - dalla straordinaria vita delle api o che siano semplici consumatori dei loro prodotti, che accompagnano l'umanità sin dalla notte dei tempi. Sapete che da anni la moria negli alveari è un fenomeno crescente in tutto il mondo e l'ultima notizia in ordine di tempo è che tenuto conto di diversi pareri sulla pericolosità dei pesticidi neonicotinoidi e le varie petizioni nate in tutta Europa per chiedere la messa al bando di tali prodotti, la Commissione Europea ha presentato la proposta di sospendere per due anni l'uso dei pesticidi incriminati negli Stati membri. Ma la dimostrazione che le cause del fenomeno sono tante e concomitanti viene dalla piccola realtà valdostana, dove questi pesticidi non ci sono, ma quattrocento apicoltori locali con le le loro 6.500 arnie registrano un quindici per cento di moria (la percentuale era salita, in passato, sino al cinquanta per cento) che - pur a fronte di un miglioramento - compartecipano al senso di viva apprensione per il futuro di questo insetto. Un amico mi segnala un sito che si occupa di questo fenomeno così riassunto: "Da qualche anno ogni inverno e ogni primavera si assiste a spopolamenti degli alveari, improvvise sparizioni, anomalie biologiche ed eccezionali mortalità di api". Ecco spiegata l'esistenza di un "Gruppo protezione dell'ape - Gpa" che vuole in Italia, con il capillare uso di questionari, conoscere la reale portata di questi fenomeni e per stabilire l’effettiva causa che li ha provocati. «Se le api dovessero davvero estinguersi l'umanita' rischierebbe una carestia a livello mondiale»: così aveva scritto l'etologo e mio collega al Parlamento europeo Giorgio Celli, scomparso qualche tempo fa. E così descriveva lo scenario: «La scomparsa delle api avrebbe come effetto immediato una grave crisi nell'agricoltura, che portata alle estreme conseguenze potrebbe causare una carestia mondiale». Insomma: Einstein incombe. Ricordo - traendolo dalla stampa specializzata - che un terzo delle coltivazioni da cui dipende la nostra alimentazione sono impollinate delle api: mele, pere, agrumi, pesche, kiwi, castagne, ciliegie, albicocche, susine, meloni, cocomeri, pomodori, zucchine, soia e girasole, come pure la grande maggioranza delle colture orticole da seme, come l'aglio, la carota, i cavoli e la cipolla. Ma le api - aggiungo ancora - sono utili anche per la produzione di carne, vista l'azione impollinatrice per colture foraggere come l'erba medica e il trifoglio, fondamentali per i prati destinati agli animali da allevamento. Insomma: teniamoci strette le api!