La "Convenzione per le riforme" sta per morire, prima ancora di essere nata. Malgrado lo stesso nuovo presidente del Consiglio, Enrico Letta, avesse detto durante la fiducia: «La Convenzione deve avviare i lavori sulla base degli atti di indirizzo del Parlamento. L'unico sbocco possibile è il successo». Aveva poi aggiunto: «tra diciotto mesi verificherò se il progetto delle riforme si avvia verso un porto sicuro. Se invece si impantana tutto ne trarrò le conseguenze». Pare che non dovrà farlo perché la "Bicamerale" - in una versione aperta ai non parlamentari - non ci sarà. Personalmente - e penso che ciò valga anche per evitare rischi sulla nostra autonomia speciale - non ci piango sopra: i suoi eventuali diciotto mesi di lavoro sembravano una scelta legata più alla speranza di dare ossigeno ad una Legislatura senza maggioranze solide, vista la totale mancanza di un indispensabile spirito costituente. Un'"aria riformatrice" dovrebbe essere un prerequisito prima di partire con un lavoro di modifica della Costituzione, che non è una bagattella. La storia di questi organi non è mai stata brillantissima. La prima "Bicamerale", nota come "Commissione Bozzi", dal nome del suo presidente, esponente liberale, operò fra il 1983 e il 1985 con un membro valdostano, il senatore Pierre Fosson. Il lavoro si chiuse con un'infruttuosa relazione alle Camere. La seconda Commissione bicamerale venne istituita nel 1992 e durò sino al 1994. Fu presieduta prima dal democristiano Ciriaco De Mita e poi dall'ex presidente della Camera Nilde Iotti (PDS) e io ne fui membro come deputato valdostano (le rendicontazioni penso diano il senso del mio impegno). La fine anticipata della Legislatura bloccò l'iter delle proposte. La terza "Bicamerale", guidata da Massimo D'Alema, durò fra il 1997 e il 1998. Il membro valdostano fu il senatore Guido Dondeynaz, ma io intervenni alla Camera nel percorso delle riforme. Le proposte si incagliarono nel giugno del 1998, anche se quel testo di riferimento - nella parte del regionalismo - portò ad una riforma del Titolo V nella Legislatura successiva con qualche vantaggio, che seguii personalmente, per il nostro Statuto d'autonomia. Ora, nel pieno di una situazione intricata con i grandi partiti in crisi a rotazione (dopo il Popolo della Libertà è il turno del Partito Democratico), ho l'impressione che siamo in un momento paradossale. Per ripartire ci vorrebbe una riforma profonda dello Stato, ma per realizzarla - tenuto conto dei precedenti che ho citato - è necessario un clima diversissimo, visto che oggi la Repubblica non funziona neppure nei suoi meccanismi fondamentali. Il caso di Brescia di ieri, con Ministri del PdL che hanno partecipato ad un comizio di Silvio Berlusconi di fronte ad una piazza divisa fra sostenitori e contestatori, è segno dei tempi e in questo caso la crisi è tutta nella politica.