Ognuno può leggere come preferisce il risultato delle elezioni amministrative, che vanno sempre distinte dalle politiche, ma certo l'aspetto macroscopico è che più della metà degli elettori non abbiano votato, disertando le urne. Ha scritto, anni fa, il costituzionalista Michele Ainis: "La Carta del 1947 disegna il voto come un diritto, ma altresì come un "dovere civico" (articolo 48). Sappiamo che nel catalogo dei doveri pulsa la dimensione etica della Costituzione italiana, riecheggia la lezione di Giuseppe Mazzini. Sappiamo inoltre che vecchie norme mai abrogate (articolo 98 del testo unico delle leggi elettorali della Camera) puniscono con una pena detentiva il pubblico ufficiale che induca gli elettori all'astensione. Ma sappiamo pure che la legge protegge in vari casi l'obiezione di coscienza: per esempio nei confronti dell'aborto o della fecondazione assistita. E sappiamo che tali fattispecie normative danno fiato e gambe a un principio di libertà, anch'esso custodito dalla Carta. Da qui la conclusione: non la propaganda verso l'astensionismo elettorale, bensì il "non voto" in sé, la scelta di non accomodarsi nella tavola imbandita dai partiti, configura un diritto individuale". L'astensionismo, dunque, è una scelta (e Ainis chiarisce la particolarità del referendum) e come tale dev'essere accettata, specie ora che si stanno raggiungendo livelli mai visti in Italia di non partecipazione al voto per diverse ragioni concomitanti. E evocare democrazie "mature", come Stati Uniti e Svizzera, vuol dire mischiare le mele con le pere, perché anche in tema di abbandono del voto ognuno ha la propria storia istituzionale. L'astensionismo è sempre più protetto, venendo meno quell'aurea di severità del dopoguerra con uno Stato etico verso chi non esercitava un proprio dovere, mentre oggi si propende per l'estensione della componente del diritto e dunque di una libertà nelle decisioni rispetto al diritto di suffragio. Infatti, per capirci, in concomitanza con l'accresciuta protezione della privacy, non è consentito accedere alle liste di chi non vota e i rappresentanti di lista devono guardarsi bene da stilare delle liste, visto che è severamente vietato farlo. Ricordo, dagli studi universitari, come sia stato ben diverso l'approccio nel Regno Unito, quando i laburisti per uscire dallo strapotere conservatore del thatcherismo fecero un lavoro capillare nei collegi uninominali sui non votanti per capire le ragioni dell'abbandono delle votazioni e risalirono la china, acquisendo una parte degli elettori disamorati. Questo non è fattibile da noi proprio per le norme di tutela, ma vale semmai il problema di una presa di coscienza per il nostro sistema politico dei perché del progressivo allontanamento dalle urne (astensione vuol dire proprio "tenersi lontano") di una parte notevole di valdostani.