Ci sono delle parole sedimentate nel lessico politico italiano, che si ergono nel corso del tempo, finendo per fotografare meglio di molto altro i vizi e le virtù del sistema politico italiano. Un sistema che, già prima ma di certo anche dopo l'avvento del suffragio universale, corrisponde al carattere di chi, con il proprio voto, sceglie i propri eletti. Non si tratta certo di una considerazione ad personam, ma della banale riflessione sul fatto che, in Italia, ci si lamenta della classe politica, dimenticando spesso che sono proprio le elezioni e dunque la volontà popolare, da cui emergono i rappresentanti. Non sono, di conseguenza, degli alieni a far arrivare malignamente al potere certi incapaci o disonesti nel Bel Paese, ma i responsabili sono in quell'opinione pubblica che poi fa muro contro i politici, come appunto se piovessero dal cielo. Un'antipolitica complice, insomma . Fra queste caratteristiche vi è un aspetto ben noto ai politologi, che si chiama "trasformismo". Trovo una spiegazione sintetica e efficace nell'enciclopedia "Treccani" per i ragazzi: "Il trasformismo ha avuto origine in Italia negli anni Settanta dell’Ottocento, quando in settori della classe politica liberale della Sinistra e della Destra maturò la convinzione che il compito storico dei due partiti in competizione – già protagonisti della formazione e del consolidamento dello Stato unitario – si fosse per molti aspetti esaurito. A loro avviso, di fronte ai nuovi e difficili problemi che lo Stato si trovava ad affrontare e alle rilevanti tensioni sociali, occorreva pervenire a una strategia unitaria, adatta a rafforzare l’opera di governo, la monarchia e le istituzioni. Di questo spirito si fece apertamente interprete il leader della Sinistra e capo del governo Agostino Depretis, il quale in un discorso a Stradella nel 1876 auspicò la «feconda trasformazione» dei due partiti liberali, dicendo di essere pronto ad accogliere «le idee buone, le vere utili esperienze» provenienti dagli antichi avversari. In un altro discorso del 1882 egli definì la teoria dell’amalgama, affermando di non voler respingere chi volesse «trasformarsi e diventare progressista». Il trasformismo suscitò immediatamente critiche pungenti di esponenti liberali sia della Sinistra - Francesco Crispi, per esempio, lo definì dapprima un «incesto parlamentare», ma in seguito aderì pienamente a esso divenendo da repubblicano un fervente monarchico - sia della Destra". Poi il testo si proietta sino ai giorni nostri: "Il fenomeno trasformistico, che è apparso ripetutamente nella storia italiana, è stato alimentato dal fatto che i sistemi politici italiani - quello monarchico liberale, quello fascista e quello repubblicano democratico - fino a tempi recenti hanno avuto il carattere di sistemi bloccati, ossia caratterizzati dall’impossibilità per le maggiori forze di opposizione di dar vita a normali alternative di governo. Da questo è derivato che, all’interno di tali sistemi, il ricambio della classe politica dirigente è potuto avvenire in maniera sostanziale proprio attraverso il distacco di parti delle opposizioni che hanno raggiunto lo schieramento governativo sia stabilendo alleanze, sia passando direttamente nelle file del governo". Trovo che si potrebbero aggiungere molte cose, ma il "filo d'Arianna" è chiaro e non si è per nulla spezzato, come dimostrano certe fibrillazioni nel centrodestra (esemplare quest'ultima dei Ministri berlusconiani che svoltano), ma anche nei tiraemolla nel centro (Pierferdinando Casini è mobile, "qual piuma al vento") e pure nello schieramento a sinistra (basti pensare agli atteggiamenti verso la possibile leadership di Matteo Renzi). Una chiosa è d'obbligo per chi, come me, ha lasciato un movimento con cui ha condiviso una quarantina d'anni di appartenenza per crearne uno nuovo. Rifiuto, però, l'etichetta di "trasformista" per la semplice ragione che io sono sempre lo stesso, mentre a cambiare sono stati altri. Specie chi pratica la clamorosa modalità dissimulatoria di dire certe cose e di farne altre.