Ho una fissazione per la Storia e non solo perché è stata una parte forte della mia formazione universitaria, ma perché trovo che nel passato si trovi sempre qualche cosa di istruttivo per il presente e anche - ça va sans dire - per il futuro. Quel che è importante è non lasciarsi solo trascinare dagli eventi, come una foglia secca che galleggi in un ruscello, ma governare le cose, per quanto ovviamente nelle proprie possibilità. Così per la nostra Valle d’Aosta, caratterizzata da sempre da questo afflato di autogoverno, diverso a seconda delle epoche e delle istituzioni di ciascun periodo. In un ideale grafico del tasso di libertà, anch'esso graduato a seconda del secolo in cui si situa, ci sono state salite e discese, di cui spesso i protagonisti non sono stati totalmente consapevoli. La capacità previsionale delle vicende storiche, quando le si vive, è uno dei miei rovelli, perché bisogna sempre stare accorti prima che qualcuno ti sfili la sedia da sotto il sedere senza che tu te ne sia accorto.
Oggi l'aria dei tempi pare, anche per i più privi di olfatto, mettere in discussione quel regime di autonomia, anch’esso in saliscendi dal dopoguerra, che è stato protagonista dal 1945 ad oggi. Segni di forte cedimento delle dighe difensive, anche per incapacità di chi se ne sarebbe dovuto occupare in questi ultimi anni, si accompagnano ad un movimento più vasto di messa in discussione del regionalismo. Se gli anni Duemila avevano segnato, sulla base di vaste discussioni "federaliste" degli anni precedenti, un piccolo progresso anche per le Speciali, ora avanza la controriforma centralista. Lo si fa sulla base di appelli al risparmio, all'efficienza e anche alla considerazione che Regioni e Enti locali sono governati da inetti che hanno rovinato la finanza pubblica. Ci sono tutti i mezzi e gli strumenti per dire che se il sistema delle autonomie locali ha compiuto errori, più o meno gravi, nulla di meglio è venuto dallo Stato, che invece oggi assume un'aria severa e moralizzatrice che in Paese normale farebbe sorridere. Ed invece, da noi, Italia soggetta a mode e isterismi, siamo pronti a dire che a Roma lo Stato Nazione è macchina perfetta pronta a impadronirsi dei territori della Repubblica con opera colonialistica in grande stile. La tentazione sempre più forte è l’emigrazione verso un Paese occidentale normale, ma, per i valdostani che ci credono, sarebbe un atto di codardia, proprio nel momento del bisogno. Ma il caso vuole che in questo contesto gli esiti del voto del Consiglio Valle, cuore della democrazia locale, se non fosse che ormai il Governo regionale e il suo presidente "padre padrone" hanno creato un sistema presidenzialista non previsto dallo Statuto, hanno creato un sistema che - per gli equilibri precari maggioranza e opposizione - sta portando ad una vera e propria ingovernabilità. Cresce la tentazione, anche in autorevoli esponenti della politica del passato, di reagire alla situazione di coincidenza fra crisi istituzionale attacco frontale all’autonomia di un "embrassons-nous" che crei un fronte comune contro l'esterno a tutela ed a difesa di quanto ottenuto con lo Statuto d'autonomia. A parte il fatto che in certe occasione sarebbe bene svelare fino in fondo le carte e non lasciare margini indeterminati su qualunque proposta si faccia, penso che sia bene capire dove non solo da dove si vuole partire nella filosofia delle "larghe intese" ma anche dire dove si vuole andare. La mozione degli affetti, la chiamata ai sentimenti e alle armi può anche andarmi bene, a condizione che sia chiaro che certi sistemi mefitici che si sono impadroniti della "Cosa pubblica" spariscano davvero e non ci si trovi, invece, con un teatro di marionette che abbia, a manovrare i pupazzi, sempre il solito regista. Perché se così fosse, al posto di reagire in modo serio e compiuto, saremmo solo di fronte ad una farsa destinata a diventare tragedia.