Mi è sempre piaciuto inventare fiabe per i miei figli. Niente di lungo o complicato, ma storielle brevi che li facessero sorridere prima di dormire. Non solo degli "usa e getta" perché, dai e dai, qualcosa di certo resta a cementare il rapporto affettivo con tracce che rimangono nella vita. E' vero che il più piccolo ha la possibilità di avere più racconti dei suoi fratelli maggiori, perché oggi sono meno in giro di quando loro erano in età da narrazione prima della nanna. Certo dietro alle fiabe o favole, specie le più conosciute, ci sono storie antiche cui si aggiungono e tolgono pezzi nel passaggio, codificandosi infine nei testo scritti dei diversi autori. Ma ogni fiaba può essere smontata e rimontata con diverse chiavi di lettura, che mostrano appunto la ricchezza di questi racconti. Certo, al di là della memoria che ciascuno di noi ha delle fiabe che gli sono state raccontate, quel che colpisce - e ne sono vittima anch'io nelle mie storielle - è la classica formuletta di chiusura «e vissero felici e contenti». Questa questione della felicità mi ha sempre colpito, più della contentezza, perché il latino "fēlix" deriva dalla stessa radice verbale "fē- allattare, nutrire" di "fēcŭndus fertile, produttivo". E' una parola piena e completa, che indica uno stato d'animo che capisci con immediatezza. Ricordo come nella celebre "Dichiarazione di Indipendenza" americana del 4 luglio 1776 si apre con un'affermazione che all'epoca deflagrò come una bomba: «A tutti gli uomini è riconosciuto il diritto alla vita, alla libertà e al perseguimento della felicità». Sono, nel messaggio in bottiglia di quel vecchio documento, diritti naturali garantiti a ciascun individuo. Ovviamente un punto di arrivo, come sappiamo bene nel tempo trascorso da allora ad oggi. Ci pensavo in queste ore in questa piccola Valle d'Aosta su cui grava una sorta di cappa, simile a quel grigiore che dalle ciminiere della "Cogne" ancora negli anni Settanta si depositava sulle lenzuola bianche che venivano messe ad asciugare sui balconi in città. La democrazia non può essere vilipesa da un uso distorto delle regole, perché questo influenza in negativo la vita, la libertà e la felicità, come elencate nei principi che ho appena citato. I totalitarismi non sono una cosa sola, perché in tutte le cose umane esiste una graduazione. Per cui dire che in Valle d'Aosta esiste una dittatura è un'iperbole, ma far finta che non esistano storture, errori, malcostume e germi che preoccupano e distruggono anche l'immagine della Valle d'Aosta all'esterno è altra cosa. Siamo su una china discendente, che preoccupa e che va fermata e ne va della qualità della nostra vita comunitaria e del livello di democrazia delle nostre istituzioni. Non ci può essere indifferenza per quel che avviene, altrimenti la formula «e vissero felici e contenti» è una bugia che raccontiamo ai nostri bambini sin da piccoli.