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07 apr 2014

Läbwòl, Vittorio!

di Luciano Caveri

Qualche giorno fa, a Roma, ho tenuto una conferenza su un tema eccentrico ma interessante, che mi era stato proposto al momento dell’invito: "Nomadismo e montagna". Non sto qua a riprendere punto per punto il senso del mio intervento, perché in realtà lo uso solo come pretesto. Chiaro che, essendo il termine nomadismo legato alla pastorizia e al movimento di mandrie e greggi, parlando di una realtà alpina come la nostra non si poteva che citare il legame stretto fra la popolazione valdostana più antica, quella che addomesticò le razze bovine ancora presenti oggi, e la pratica di spostamento sempre più in alto, nel cuore dell’estate, sino a raggiungere gli alpeggi che costeggiano le cime e i ghiacciai. Ma non poteva mancare nell’esposizione il racconto su quella popolazione di coloni, che conquista a partire dall'anno 1000 varie zone delle Alpi, partendo dall'Alto Vallese, con una logica da Far West per sfruttare le terre più alte e più difficili delle testate di valli, come avvenuto nella nostra Valle del Lys, in analogia con vicine vallate del massiccio del Monte Rosa. Il popolo Walser, pur disperso in diversi Stati nazionali, ha mantenuto legami fra le comunità e coltiva un’identità resa sempre più difficile in un mondo aperto, che colpisce le comunità più piccole e più fragili. Ma ancora oggi c’è chi si batte non per affermazioni micronazionalistiche, che sarebbero anacronistiche, ma per conservare eredità e tradizioni antiche. Ci pensavo ieri, raggiungendo Gressoney-Saint-Jean, per i funerali del noto medico Vittorio De La Pierre, con cui esisteva un legame di parentela che dovrebbe essere meglio esplorato, visto che la mia bisnonna paterna era anch'essa una De La Pierre. Ci scherzavamo spesso su questa cuginanza (compresa una sua sfortunata candidatura alle politiche del 1987, quando fu avversario del mio coéquipier César Dujany per il seggio senatoriale) e sul comune interesse, per me in politica e per lui nella sfera culturale, di mantenimento delle peculiari caratteristiche di questa minuscola popolazione di parlata germanica. Vittorio ha presieduto la "Consulta Walser" negli anni di applicazione della norma costituzionale (40 bis dello Statuto), che ha riconosciuto il particolarismo nel particolarismo e anche la parte che li riguardava nella legge - a beneficio anche degli altri Walser del Rosa - 482 del 1999 di tutela delle minoranze linguistiche storiche. Il suo era un lavoro paziente e attento, frutto di un amore smisurato per la sua comunità e anche per questo guardava ai giovani con speranza, augurandosi che si dimostrassero impegnati a tenere accesa la fiammella di una storia secolare di occupazione e di trasformazione di quella parte bellissima del territorio della Valle d'Aosta. Ora questa figura significativa dei Walser e della versione più valdostana di quella loro civiltà ("Kultur" in tedesco) così ricca ci lascia e lo ricordiamo per il suo impegno per la sua gente, ma anche anche per il resto della Valle d'Aosta, nella sua attività di medico d'altri tempi. Era gentile e disponibile, specie con tanti clienti meno abbienti, cui spesso non chiedeva un soldo. Un impegno civico importante e da ricordare. Läbwòl, addio, Vittorio!