Sul sito del "Museo nazionale dell'emigrazione" c'è una scheda di sintesi, interessante e condivisibile, che riguarda l'emigrazione valdostana nel mondo e le sua caratteristiche. La riporto qui: "L'emigrazione valdostana nasce dalla mobilità stagionale, tradizionale dell'arco alpino, e dalla prossimità con la Francia e la Svizzera, nonché dall'esistenza di una costante comunicazione con l'area germanica. Nel Trecento i mercanti di stoffe si spostavano d'inverno sul lago di Costanza e la Baviera; nel Settecento arrivavano sino all'Austria - Ungheria. Dal Cinquecento muratori, carpentieri e tagliapietre lavoravano d'estate in Francia e nel Piemonte, attratti in particolare da Marsiglia e Torino. Infine il commercio di bestiame, tipica attività locale, comportava spostamenti in tutte le aree limitrofe. L'emigrazione post-unitaria si innestò su questa mobilità a breve e medio raggio e acquistò caratteri internazionali perché alcune aree, come Nizza e la Savoia, non facevano più parte del medesimo Stato".
"Nei primi decenni dopo l'Unità gli spostamenti rimasero stagionali - si legge ancora - e contrassegnati dalla tendenza a tornare. Da fine Ottocento agli anni Trenta del ventesimo secolo l'emigrazione divenne definitiva, anche perché il governo fascista favorì l'espatrio di una popolazione ritenuta straniera in quanto francofona. Nello stesso periodo l'economia locale iniziò a sfruttare la risorsa turismo, preparando gli sviluppi successivi alla seconda guerra mondiale. Sino a quest'ultima, comunque, le partenze temporanee e definitive si divisero fra le abituali mete europee e quelle intercontinentali (Argentina e Brasile, Canada francese e Stati Uniti, Australia). Dopo la Seconda Guerra Mondiale l'esodo decrebbe e allo stesso tempo si orientò verso le fabbriche di Torino e della Svizzera. Quasi contemporaneamente l'industria turistica attrasse lavoratori, dal Veneto, dal Piemonte e dal Meridione, trasformando la Regione in area prevalentemente di accoglienza". Pensavo a questa nostra emigrazione rispetto a certa retorica che si fa di questi tempi sul fatto che gli italiani, essendo popolo di migranti, dovrebbero avere una maggior partecipazione umana allo straordinario flusso in atto in questi anni attraverso il Mediterraneo. Forse qualche piccolo distinguo va operato. La massa di migranti - e il caso di "Ellis Island" a New York, ma anche gli occhiuti controlli dei francesi erano la punta dell'iceberg - arrivavano nei Paesi prescelti seguendo in tutto e per tutto le regole, talvolta assurde e xenofobe. Ben diversa è la storia di chi arriva oggi illegalmente coi barconi, distinguendo poi profughi per diverse ragioni, che hanno diritto all'accoglienza, da chi è migrante clandestino per motivi economici (sempre umanamente comprensibile, ma giuridicamente diverso). Poi, riguardando in questi giorni i film del "Padrino" (tratti dai romanzi di un italoamericano Mario Puzo e trasposti in film da Francis Ford Coppola, entrambi italoamericani e quindi scevri da accuse di razzismo), pensavo al fatto che sulla retorica dell'emigrazione italiana bisogna sempre avere cautela e distinguere tra i tanti galantuomini di qualunque provenienza regionale fossero, che si sono installati con onore in tanti Paesi del mondo e chi, invece, ha propagato un'immagine terribile, che fa sì che ancora oggi una delle poche parole universalmente note e adoperate in tutto il mondo in lingua italiana sia "Mafia". Triste storia.