Ormai è evidente che ci troviamo nella nostra vita a doverci abituare a cambiamenti continui, in barba a vecchie letture della storia come un susseguirsi - per secoli e generazioni - di una vita relativamente cristallizzata con gesti e abitudini, ma soprattutto contesti sociali, che si muovevano con la lentezza di una lumaca. Oggi tutto si muove in modo frenetico e direi che siamo affetti da una sorta di "sindrome di Tarzan", se non afferri la liana al volo resti fermo nella giungla. In queste ore sono in viaggio e, prima di partire, mi sono chiesto se fosse intelligente farlo. Ora sono seduto su di una panchina di un aeroporto: sono scene che nella mia vita ho vissuto tante volte, specie durante l'estate. Quando viaggiavo per lavoro, nella mia attività parlamentare, era una sofferenza in questa stagione aggirarsi in giacca e cravatta con il bagaglio a mano e con la borsa dei documenti in mezzo ai vacanzieri.
Oggi sono vacanziero in mezzo ad altri vacanzieri ed è sempre allegro vedere il cosmopolitismo (siamo tutti appartenenti alla stessa umanità!), che corrisponde poi ovviamente a differenze a seconda delle destinazioni previste dagli imbarchi dei voli in uno shaker tipicamente estivo. Certo dall'11 settembre 2001, quando gli aerei furono usati per gli attentati alle Torri Gemelle, viaggiare in aereo è del tutto cambiato. Non solo controlli più attenti, ma anche comportamenti diversi - venati di qualche inquietudine e anche qualche paranoia - per chi viaggia. Ricordo, poco dopo quegli attentati, un volo per Bruxelles da Ginevra con a bordo due persone di origine araba con barbe e palandrane guardati a vista da tutti con evidente comportamento infantile. Oggi la paura è cresciuta di livello e lo scrivo - ecco perché mi chiedo se sia stato intelligente farlo - mentre sto andando in Marocco, dove avevo prenotato mesi fa. Dopo gli attentati in Tunisia avrei dovuto rinunciare? Intanto le autorità italiane, cioè il Ministero degli Affari Esteri, nel sito "Viaggiare sicuri", non solo non sconsiglia il Marocco, ma neppure vieta la Tunisia, pur dicendo di evitare alcune zone e di attenersi a determinate modalità in viaggio. Poi - malgrado gli sfottò di tanti amici che mi vedono già decapitato o rapito sotto una tenda nel deserto - resto convinto che bisogna essere prudenti ma anche razionali al punto giusto, senza scadere negli eccessi del fatalismo. Però anche un minuscola vicenda come una vacanza può farci ragionare su questo nostro mondo, che sembra - come l'incedere del gambero (che poi in verità non cammina all'indietro, ma arretra con una balzo in caso di pericolo) - regredire al posto di progredire. Ciò non scalfisce le mie radici illuministe e positiviste, anche se ogni giorno la lettura del giornale («La preghiera del mattino dell'uomo moderno è la lettura del giornale. Ci permette di situarci quotidianamente nel nostro mondo storico», scriveva Friedrich Hegel, ma ormai vale per tutti media) dovrebbe dimostrare il contrario e alimentare le paure più profonde e una chiusura a riccio. Era Gandhi che usava un'utile precisazione, quando diceva: «La paura può servire, ma mai la codardia». "Codardo" è una parola adatta per essere adoperata per quella soggezione psicologica in cui i terroristi vorrebbero farci affondare. Viene dall'antico francese "couard", derivato di "cou - coda" e significa, "che tiene la coda abbassata", con riferimento agli animali da caccia, come il cane e il falco cacciatore. Non può non venire in mente quel format televisivo delle esecuzioni ad opera degli estremisti islamici con le persone da uccidere umiliate in ginocchio, simili ad animali sacrificali, di fronte al proprio boia, metafora evidente della soggezione che noi dovremmo provare verso certi fanatismi religiosi. Il messaggio è questo ed è evidente, perciò bisogna reagire con consapevolezza, senza farsi intimidire nella quotidianità della nostra vita, altrimenti sarebbe la premessa ad una sconfitta e ad una conseguente vittoria dell'Inciviltà.