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02 dic 2021

Paesi non borghi

di Luciano Caveri

Può capitare di leggere delle cose che colpiscono come un pugno nello stomaco, che poi ti fanno girare le rotelle del cervello. A questo, in fondo, serve il confronto: non è un esercizio ipocrita in cui si confrontano idee o progetti solo per restare infine fermi sulle reciproche posizioni di partenza. Sarebbe una «scelta onanistica», come dice un mio amico fra il serio e il faceto. Sento parlare da anni dei «borghi» e ci hanno fatto pure una legge nazionale che mira lodevolmente alla tutela e alla rinascita di piccoli Comuni. Non so perché si usi il termine "borgo", che da dizionario è "centro abitato di media grandezza e importanza" derivando da una parola tedesca, da cui deriva anche a sua volta la ben nota parola che tanto ha impegnato la politica e cioè "borghese", che nasceva in realtà contrapposto all'aristocrazia che abitava nei castelli.

Quel che è certo è che bisogna evitare come la peste la retorica. Per questo ho letto con interesse e rispetto un articolo su "Huffpost" di Giuseppe Melillo, antropologo ed esperto di sviluppo locale, che proprio con questo pensiero esordisce, chiamando intanto i paesi "paesi": «I paesi hanno bisogno di serietà e dignità non di retorica, men che meno di demagogia tossica e deleteria. Paesi che si trasformano in non-luoghi, uguali senza identità, dismettendo il loro essere spazi antropologici, con una identità culturale, relazionale e storica ben definita. Rappresentazione di questo tempo, si trasformano in luoghi turistici e/o ospedalieri con la creazione di "Rsa" (residenza sanitaria per anziani) non più funzionali agli abitanti ma legati alle necessità delle presenze e degli arrivi, alla provvisorietà e al transito di clienti e fruitori travestiti da abitanti temporanei. La storia ci dice che i luoghi non sono eterni, "subiscono l'ingiuria degli anni" come tutto e tutti. Non sono eterni gli imperi, figuriamoci i piccoli paesi che la storia economica ha messo ai margini delle dinamiche sociali, economiche e politiche. Una mutazione abitativa che è inscindibile dalla storia evolutiva dell'uomo, dal suo farsi spazio nel mondo e trasformarlo in un luogo legato al soddisfacimento dei suoi bisogni primari. Paesi nati in cima a colline o montagne, attorno a castelli o conventi per proteggersi da nemici e essere più vicino agli uomini di Dio. Oggi Dio è ovunque, i nemici non arrivano dal mare o dalle pianure e le strade del progresso percorrono le valli e le coste». Potremmo aggiungere solo della realtà alpina e di paesi spopolati e vittime di crollo demografico per una serie di ragioni economiche e sociali ben note, cui si aggiunsero nei secoli i cambiamenti climatici che c'erano anche prima dell'intervento umano. Prosegue l'articolo: «E i paesi d'improvviso diventano borghi! Il concetto di borgo omologa: stessi eventi, sagre, monumenti storici, piatti tipici, stesse insegne. Luoghi fatati circondati da silenzi, sospesi nel tempo, atmosfere uniche. Un immaginario romantico rurale che, in un processo di negazione della realtà, disconosce la storia, fatta di miserie e di fatiche. Denominarli borghi, inserirli in reti nazionali, designarli con qualche titolo o bandiere, però non migliora all'improvviso la loro condizione; le disuguaglianze e le contraddizioni territoriali rimangono tutte. I paesi soffrono della mancanza degli investimenti strutturali giustificati da assenza di sostenibilità economica degli investimenti stessi. La realtà racconta di paesi senza dipendenti comunali, rete Internet a singhiozzo, trasporti e mezzi pubblici sempre meno presenti, ricostruzioni post terremoto o post frane mai conclusi, scuole elementari con pluriclassi, servizi essenziali assenti, biblioteche ed edicole un lontano ricordo, qualche bar in piazza, dove giovani e anziani si incrociano, attività sportive o ricreative distanti chilometri. Paesi che se non cambiano le dinamiche in atto sono destinati ad essere parte del grande libro dei paesi scomparsi. E chi rimane diventa un resistente, non un resiliente, in un luogo che non non ha il ritmo della società dei consumi e dove lo spirito del tempo moderno sta "consumando" il genius loci». Noi in Valle d'Aosta ci siamo sempre sforzati di mantenere vivi certi Comuni e bisogna ancora lavorare per farlo, ma bisogna trovare percorsi nuovi non pensando di attirare con soli finanziamenti desperados da "mordi e fuggi", ma persone o che rientrino nei paesi di origine con la prospettiva dello smart working (questo del lavoro a distanza può attirare anche cittadini in fuga dalle città) e chi abbia idee imprenditoriali serie e davvero stanziali per riabitare la montagna. Ancora Melillo: «Ci si rifugia nel termine "borgo" che diventa un neutralizzatore delle complessità presenti nel paese e lo trasforma in un luogo estetico, artistico, emotivo e anche poetico, di memorie artificiali e di abitanti souvenir da rendere telegenici o social. Un borgo è quel luogo dove si crede che vendere case a un euro diventa un'idea di riscatto e non di sconfitta. Il borgo è un paese che muore senza avere diritto di morire con dignità dopo che gli è stata tolta la dignità di vivere. Forse è meglio lasciar morire i paesi che far vivere loro l'umiliazione di essere svenduti come cianfrusaglie al mercato delle pulci! Ormai si trascinano come moribondi afflitti da mali mai curati; lo spopolamento è l'effetto della malattia non la malattia. Forse è meglio evitare l'accanimento terapeutico e affrontare seriamente con tristezza la realtà: ci sono paesi che non ce la fanno a sopravvivere alla contemporaneità!». Ora sulle case ad un euro ci sta provando in Valle d'Aosta il piccolo Comune di Oyace e sono curioso di vedere, senza pregiudizi, l'esito. Il paese aveva 328 abitanti nel 1861, mantenendo grossomodo lo stesso numero in tutto l'Ottocento, mentre nel Novecento è progressivamente calato e da inizio Duemila sale e scende di poche unità appena sopra i duecento e non so se ci siano residenze di chi magari ha domicilio anche più in basso, ad esempio Aosta, e raggiunge spesso la casa di famiglia, tenendo la residenza nel paese di origine, come capita anche in altre vallate. Il dibattito è aperto su tutte le Alpi e direi su tutte le montagne, compreso l'Appennino, che è una spina dorsale che attraversa tutta l'Italia.