Questa parte della nostra vita sembra per tutti una corsa ad ostacoli faticosa e imprevedibile. La pandemia ci ha lasciati stremati e sono tanti coloro di tutte le età che soffrono di postumi fisici e psicologici. Potremmo usare un'espressione della mia generazione - che si usava purtroppo per gli eroinomani - «avere la scimmia» o «avere la scimmia sulla spalla» è un aforisma di origine americana; il detto deriva dalla frase «Monkey on one's back» («Scimmia sulla schiena»). La "scimmia" è stata per un lungo tempo la paura di ammalarsi e, per chi aveva fatto il covid, di ricaderci. La "scimmia" è stata una clausura domestica, l'isolamento sociale, l'affastellarsi di regole spesso contraddittorie, la crisi economica con conseguenze gravi e anche, purtroppo, la morte che ha colpito parenti e amici. Il timore è che torni e questo pensiero è segnato sul calendario per dopo l'estate.
Ma intanto è arrivata un'altra "scimmia", se possibile ancora più inquietante: la guerra. E chi lo avrebbe mai detto? Le guerre che si combattono nel mondo certo c'erano remote, ma questa è qui vicino e sembra un concentrato di orrori, che si superano ogni giorno l'uno con l'altro. Non è nelle nostre strade e nei nostri cieli, non sono morti che conosciamo, bombe che esplodono a due passi, la necessità di fuggire per salvarsi. Sappiamo però benissimo e si appoggia sulle nostre spalle come un'ansia che pesa la paura che ci sia un passo in più, che la guerra dilaghi come ha fatto il virus. E su tutto una scimmia gigante come l'enorme scimmia filmica, King Kong. E' lei, la bomba atomica, che resta incombente: pensiamo razionalmente che non si potranno usare le testate nucleari, però il rovello resta perché sappiamo che l'irrazionale esiste. Intanto la pandemia e la guerra - che paiono essersi passate il testimone - creano effetti gravi sulla nostra quotidianità, hanno conseguenze economiche e sociali, ci fragilizzano nelle nostre certezze e guardiamo al nostro futuro come un enorme punto interrogativo. Il mondo così distante in apparenza schiaccia anche comunità piccole come quella valdostana e le sua capacità di reazione e di adattamento. Ecco perché mi fa arrabbiare, sempre nel nostro minuscolo della Valle d'Aosta, che in un momento come questo si sia minata, mese dopo mese, la stabilità politica che consente di avere strumenti più efficaci quando l'emergenza esiste e non è un elemento astratto. A chi giova questa scelta fatta da strategie politiche piccine ammantate dalla nobiltà d'intenti? A nessuno in momenti in cui normalmente più che dividersi ci si unisce per reagire alle difficoltà. Ecco perché spero che in tempi rapidi si possa uscire dalla crisi politica, perché ci sono troppe cose da fare, occasioni da non perdere, risposte da dare. So bene, perché in politica ci vivo da tempo pur mantenendo un certo candore che mi ha salvato dal cinismo, che la ricerca di una stabilità è fatta di equilibri, specie quando esistono differenze di vedute e anche di pensiero. Ma gli sforzi, quando necessari, vanno fatti senza avvoltolarsi in perdite di tempo, sapendo che già ora la credibilità di tutta la politica, senza troppi distinguo, è ridotta al lumicino.