Il punto di partenza, nel caso in cui ieri fossi stato un maturando (che bello avere quell’età..), sarebbe stata ineluttabilmente la scelta della PROPOSTA B1, che qui riporto: “Testo tratto da: Federico Chabod, L'idea di nazione, Laterza, Bari, (I edizione 1961), edizione utilizzata 2006, pp. 76-82 «[...] è ben certo che il principio di nazionalità era una gran forza, una delle idee motrici della storia del secolo XIX. Senonché, occorre avvertire ben chiaramente che esso principio si accompagna allora, indissolubilmente, almeno negli italiani, con due altri principi, senza di cui rimarrebbe incomprensibile, e certo sarebbe incompleto. Uno di questi principi, il più collegato anzi con l'idea di nazionalità, era quello di libertà politica (..j. In alcuni casi, anzi, si deve fin dire che prima si vagheggiò un sistema di libertà all'interno dello Stato singolo in cui si viveva, e poi si passo a desiderare la lotta contro lo straniero, l'indipendenza e in ultimo l'unità, quando cioè ci s'accorse che l'un problema non si risolveva senza l'altro. E fu proprio il caso del conte di Cavour, mosso dapprima da una forte esigenza liberale, anelante a porre il suo paese al livello raggiunto dalle grandi nazioni libere dell'Occidente (Francia ed Inghilterra); e necessariamente condotto a volere l'indipendenza, e poi ancora l'unità. [...) Quanto al Mazzini, credo inutile rammentare quanto l'esigenza di libertà fosse in lui radicata: a tal segno da tenerlo ostile alla monarchia, anche ad unità conseguita, appunto perché nei principi egli vedeva i nemici del vivere libero. Egli è repubblicano appunto perché vuole la libertà: piena, assoluta, senza mezzi termini e riserve. II Manifesto della Giovine Italia è già più che esplicito: «Pochi intendono, o paiono intendere la necessità prepotente, che contende il progresso vero all'Italia, se i tentativi non si avviino sulle tre basi inseparabili dell'Indipendenza, della Unità, della Libertà». E più tardi, nell'appello ai Giovani d'Italia ch'è del 1859, nuova, nettissima affermazione «Adorate la Libertà». Rivendicatela fin dal primo sorgere e serbatela gelosamente intatta...» [...] Il secondo principio che s'accompagnava con quello di nazione, era quello europeo. [...] Pensiamo al Mazzini, anzitutto. Egli, che esalta tanto la nazione, la patria, pone tuttavia la nazione in connessione strettissima con l'umanità. La nazione non è fine a se stessa: anzi! È mezzo altissimo, nobilissimo, necessario, ma mezzo, per il compimento del fine supremo: l'Umanità, che è la Patria delle Patrie, la Patria di tutti. Senza Patria, impossibile giungere all'Umanità: le nazioni sono «gl'individui dell'umanità come i cittadini sono gl'individui della nazione... Patria ed Umanità sono dunque egualmente sacre». [..] Ora, l'umanità è ancora, essenzialmente, per il Mazzini, Europa: ed infatti insistente e continuo è il suo pensare all'Europa, l'Europa giovane che, succedendo alla vecchia Europa morente, l'Europa del Papato, dell'Impero, della Monarchia e dell'Aristocrazia, sta per sorgere.»”. Questo il brano da commentare nel suo positivo afflato europeista e certo - per essere onesti - il compito non era facilissimo, calandomi nei panni dei giovani impegnati nella Maturità su di un tema in più in cui è conseguente esprimere i propri penchants politici. Questo riguarda non solo i contenuti, ma anche la conoscenza della personalità che ha scritto queste pagine. Sarebbe stato utile per loro leggere il bel libro del mio amico storico Sergio Soave su Chabod, che consiglio per la chiarezza e l’onestà di come traccia il percorso di quello che fu anche il partigiano Lazzaro, come nome di battaglia. Anni fa scrissi di Chabod: ”Morì a soli 59 anni all'apice di una straordinaria carriera universitaria e il suo insegnamento come storico formò una scuola di professori di grande importanza e a lui si devono libri di enorme caratura. Il suo passaggio nelle vicende politiche valdostane nel dopoguerra fu importante, anche se se ne andò bruscamente per non più tornare quando dovette lasciare la carica di Presidente della Valle, di quella "circoscrizione autonoma" pre-statutaria nata dai decreti luogotenenziali del 1945. Al suo posto divenne Presidente il suo antagonista, mio zio Séverin Caveri (poi parlamentare valdostano a Roma nel 1958 con il fratello di Chabod, Renato) le cui posizioni federaliste e autonomiste non erano coincidenti con la visione di Chabod, cui si rimproverava un'eccessiva moderatezza "filoitaliana" ed anche un'iniziale adesione al fascismo che gli servì nella carriera accademica. Il tempo smussa gli angoli e spegne le polemiche e riporta al centro dei ricordi i "padri fondatori" dell'autonomia, che sarebbe doveroso ricordare di più”. Cito, in modo esemplificativo, delle preoccupazioni di Federico Chabod rispetto alla spinta delle piazze di quegli anni post bellico una lettera del 16 novembre 1945 da lui indirizzata al responsabile politico del Partito d'Azione di Torino, Mario Andreis: "La situazione generale non è ancora rassicurante: ancora questo oggi, a Liverogne, in occasione della commemorazione di tredici ostaggi fucilati dai tedeschi, potevi vedere in giro molte bandiere rosse e nere (colori della Valle d'Aosta), e non una sola bandiera italiana". Scrisse tempo fa Annibale Salsa sulla Dichiarazione di Chivasso per comprendere certe differenze: “In quel contesto particolare le tesi regionaliste dello storico valdostano Federico Chabod - fautore della nascita di una Regione autonoma a Statuto speciale (come sarà la Valle d'Aosta e il Trentino-Alto Adige relativamente al primo Statuto) - si confronteranno con quelle federaliste del padre dell'autonomia valdostana Émile Chanoux, fautore di uno Stato italiano su basi federali secondo il modello svizzero dei Cantoni (ossia Repubbliche autonome e non semplici Regioni). Nella Costituzione della Repubblica italiana (1° Gennaio 1948) il modello regionalista, più blando in fatto di autonomia rispetto a quello federale, avrà la sorte migliore”. Aggiungo solo, per completezza, che lo scontro ideologico e politico nel primo dopoguerra non fu fra Chabod e Chanoux, morto purtroppo nel maggio nel maggio del 1944, ma - capisco di essere Cicero pro domo sua - vide in campo il suo erede politico, Séverin Caveri, antifascista della prima ora e leader per decenni dell’Union Valdôtaine, troppo spesso oscurato, malgrado il suo ruolo essenziale a favore della Valle. Tutto ciò detto, che sia chiaro che vedere spuntare Chabod in una traccia di Maturità è una scelta che fa piacere ed evoca - comunque la si pensi - un grande valdostano.