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07 ott 2023

“Notre jardin” non è un orticello

di Luciano Caveri

Ogni tanto qualcuno, chi bonariamente con un sorriso aperto e chi con qualche malizia e dietro le spalle, segnala la mia propensione ad avere contatti vari in Italia e in Europa, come se fosse per gli uni un valore aggiunto, mentre per altri sarebbe una sorta di distrazione da questioni locali. Al momento - sia chiaro - questa propensione fa parte certamente di certe materie che ho come delega nel Governo valdostano, tipo Affari europei, PNRR e politica della montagna. Credo, però, che sia frutto consapevole delle mie esperienze a Roma e Bruxelles, ma soprattutto di una convinzione più profonda sin dall’inizio della mia attività politica elettiva nell’ormai lontanissimo 1987. Credo profondamente nella necessità che la piccola Valle d’Aosta debba per scelta ponderata e per evidente necessità non essere chiusa in sé stessa e all’introflessione come rischio deve contrapporre una sana capacità di estroflessione. Se ho sempre trovato eccellente la frase che Voltaire mette in bocca a Candide “Il faut cultiver notre jardin”, resta chiaro come questa frase non sia affatto un elemento di chiusura dentro i propri confini. Se nell’opera volterriana risulta una critica a chi si occupa di problemi metafisici che rischiano di essere astratti piuttosto che delle cose concrete da migliorare e da cambiare, nelle mie speranze significa aprirsi all’esterno come scelta matura e persino elementi di strategia politica. Questo oggi significa, con espressione in parte abusata, far parte di reti che ci facciamo crescere nel confronto e nell’interscambio di idee ed esperienze per evitare il rischio del provincialismo e dell’autocompiacimento. Il famoso “guardare il proprio ombelico”, quando al posto di guardare il proprio giardino ci si limita al proprio orticello e spesso, così facendo, finiamo per trascurare contatti e conoscenze utili, immersi come siamo talvolta - e faccio io stesso ammenda di certe debolezze umane - in diatribe minuscole fra noi che servono a poco. Reti significa opportunità. Essere una Regione vuol dire dialogare con le altre Regioni. Essere una Regione a Statuto speciali si sostanzia nel confrontarsi con le altre Autonomie differenziate. Questo deve avvenire in Italia e in Europa. Esiste poi la rete vasta della montagna, quella alpina e non solo. Ci sono poi i rapporti di vicinato e quelli mondiali grazie alla francofonia. Sono opportunità e assieme necessità, che devono giocoforza accompagnarsi ad una continua riflessione su noi stessi e sui nostri pregi e difetti, evitando il rischio di pensare di essere i più intelligenti della compagnia, evitando però quella logica di tendenza gruppettara al continuo mugugno a all’autoflagellazione lamentosa. È un’attitudine che non sopporto più con rosiconi e criticoni in perenne servizio attivo, tristi sentinelle prigioniere di visioni ideologiche, queste sì chiuse al dialogo, prigionieri come sono nel recinto delle proprie intoccabili convinzioni. Convinti in più che il mondo sia fatto solo da nemici da combattere.