Bon ton da Whatsapp

La mia tesi di laurea era (anzi, fu, visto il tempo trascorso…) centrata sulle lettere scambiate nel Settecento fra gli illuministi milanesi e quelli ginevrini.
Da bambino, in gita scolastica e quando andavo al mare, spedivo cartoline illustrate per far sapere dov’ero.
Nei primi anni in cui ero deputato ricevevo le convocazioni attraverso telegrammi.
Sono tre esempi della messaggistica del passato.
Quella attuale che ci invade è nata nel seguente modo. Ricordo i primi SMS, che si accodarono alla nascita del telefono cellulare, come si diceva agli esordi della tecnologia che ha cambiato il mondo. L’inizio della loro storia risale al 3 dicembre 1992, giorno dell’invio del primo messaggio SMS. Durante la festa natalizia aziendale, il direttore di Vodafone Richard Jarvis riceve un messaggio sul suo cercapersone Orbitel TBU 901 dal collega Neil Papworth, ingegnere informatico. Il primo messaggio, inviato da computer, recitava “MERRY CHRISTMAS“. Il primo SMS scambiato tra due telefoni cellulari, invece, è stato inviato l’anno successivo, nel 1993, con l’esperimento di uno stagista della Nokia, il finlandese Riku Pihkonen.
Ma, saltando altre tappe e altri strumenti successivi di messaggistica, la rivoluzione si è consolidata con Whatsapp. L'applicazione di messaggistica istantanea è stata creata nel 2009 da due ex dipendenti di Yahoo, Jan Koum e Brian Acton. I due volevano creare un'app che desse la possibilità agli utenti di scambiarsi i messaggi gratuitamente, utilizzando il proprio numero di telefono e la rete Internet.
Oggi ne siamo schiavi e vittime di miriadi di gruppi i più vari che si manifestano troppo spesso a suonerie innescate.
L’aspetto significativo che più mi colpisce è il progressivo inseguirsi dello scritto e del parlato, che salgono e scendono a seconda dei momenti. Un esempio lo vedo nel mio figlio più piccolo dodicenne: non si usa telefonare con il telefonino e, a differenza mia che scrivo molto con Whatsapp ma uso molto anche parlare al telefono, allo stato attuale lui non scrive ma invia i vocali.
Già, i vocali di Whatsapp, che personalmente odio e ne ricevo troppo e mi lamento con chi me ne manda, specie in versione con minutaggio del tutto spropositato.
Leggo su La Stampa un illuminante articolo di Nadia Ferrigo.
Così inizia: ”Li detestiamo, eppure li usiamo. Qualcuno prova a difendersi, ma nessuno ci riesce davvero. Siamo in balia della loquacità altrui, costretti a sorbirci minuti e minuti di messaggi vocali che nove volte e mezza su dieci potrebbero essere riassunti in una frase o due. Il sottinteso del vocale è chiaro: io non ho tempo per mettermi a scrivere qualche cosa di sensato ed efficace, quindi tu ora devi trovare il tempo per ascoltare la mia chiacchiera”.
Ho maturato un’idea aggiuntiva: nel tempo dell’ analfabetismo di ritorno, che spesso è pure di andata, e malgrado il correttore autonomistico in molti non sanno scrivere e dunque ricorrono al microfono
Ancora Ferrigo: ”.Chiacchiera tu che chiacchiero io, i vocali sono ormai una dannazione e pure una cafonata, come spiega The Emily Post Institute, organizzazione con sede a Burlington, nel Vermont, che dal 1922 si occupa di confezionare consulenze e consigli di buone maniere”.
Interessante il bon ton anche in questo settore, che in verità - come le e-mail, altra forma analoga alle piante invasive - si sta cominciando a normare con quel che viene chiamato diritto alla disconnessione e cioè non mi devi rompere le scatole, nel settore lavorativo, in certi orari e nei giorni festivi. Ma per gli amici, conoscenti e maniaci dei gruppi non esiste ancora una sanzione anticafonaggine.
Ancora la giornalista per capire la dimensione dell’invasione dei vocali, spesso fantozziani: ”Secondo i dati raccolti da Meta ogni giorno circolano circa 200 milioni di messaggi vocali. La posizione degli esperti di galateo è netta: vietato mandarli. «Bisogna aver chiaro che si tratta di un monologo in cui non è previsto l’intervento di un interlocutore» sentenzia The Emily Post. Non il massimo della sensibilità e del rispetto per gli altri insomma. Pochissime le eccezioni tollerabili alla ferrea regola dell’astensione. Il vocale può avere un senso «solo se il tono di voce ha un significato, come per esempio un augurio di compleanno, o se la questione è assolutamente seria». Insomma va bene per le canzoncine ai bambini e se in fin di vita, in attesa di un’ambulanza, non avete la forza di digitare un messaggio e al vocale affidate le vostre ultime volontà.
C’è una regola aurea da tenere a mente: se chi vi risponde lo fa con un testo scritto, allora è evidente che vuole spezzare questa catena infernale. Aggiungiamo, un’eccezione e un veto. Veto: se dura più di tre, quattro minuti, allora qualsiasi sia il contenuto è legittimo ignorarlo. Se è una chiacchiera, un racconto, con qualcuno con cui si ha grande confidenza, si può ancora fare, ma deve far sorridere”.
Nel mio caso sorriso amaro e pure, nel peggiore dei casi, nessuna replica e il silenzio su Whatsapp imbarazza e parla da solo.
Così si conclude l’utile articolo: ”Sempre The Emily Post ha stilato le regole da rispettare nei gruppi WhatsApp, che sia la chat del lavoro o quella del fantacalcio. Fuori classifica, il vocale mandato nel gruppo: una roba da sabbia negli occhi, inaccettabile. Prima regola, mandare messaggi brevi. Secondo, se sei in dubbio tra inviare oppure no, allora non inviare. Terzo. Le emojis sono tante, carine, simpatiche «ma siete adulti, usate il linguaggio degli adulti. Cosa vuol dire un gattino con i cuori o una ballerina spagnola?». Siamo meglio di così, facciamo un piccolo sforzo.
Quarta regola. «Invitare persone a feste, matrimoni, anniversari, compleanni e altre occasioni con un jpg su un gruppo WhatsApp non è né educato né rispettoso. È solo pigro». Severo, ma giusto.
Regola numero cinque, cattiva ma definitiva. «La maggior parte delle persone si preoccupa dei tuoi pasti, delle tue battute, dei tuoi messaggi di buongiorno, dei meme sui bambini, dei video di persone che cadono o scivolano, delle tue opinioni politiche, dei tuoi figli e delle tue ultime vacanze tanto quanto tu ti preoccupi delle loro. Pensaci prima di condividerle in un gruppo WhatsApp»”.
Extrema ratio: bannare (dall’inglese ban, interdizione!) il molestatore: come una ghigliottina.

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