Scrivere di politica significa esporsi, dicendo qual è il proprio pensiero. Diverso è chi non lo fa e in modo spregiudicato si adegua ad un costume molto italiano, il camaleontismo. Si tratta, come noto, dell’atteggiamento mutevole e ipocrita di chi, per opportunismo e per restare a galla, muta facilmente opinioni in politica, secondo le circostanze alla ricerca di un posizionamento vantaggioso, così come fa il camaleonte nel mutare colore con una scelta di autodifesa in quel caso non deprecabile. Avevo detto che non avrei più scritto della famosa réunion, réunification, recomposition, reconstruction o come diavolo la si voglia chiamare sinché non ci fosse stata una tappa finale del processo che tanto attendevo. Ora penso che neppure il più scettico avrebbe ragioni per tornare indietro e certo per chi scegliesse nell’ultimo miglio di trovare delle argomentazioni per farlo dovrebbe davvero arrampicarsi sui vetri e credo che ne pagherebbe un conto salato. Per cui ora posso scriverne con chiarezza e senza infingimenti. E senza che si pensi che faccia tutto questo per interessi di bottega. Sarebbe triste che si pensasse che questa storia risultasse una specie di pantomima e non una volontà sincera. Una delle mie speranze nel cammino per avere una sola grande casa autonomista sotto il simbolo dell’Union Valdôtaine è che si faccia questa scelta in una logica di concordia, parola che va immaginata - e lasciatemi usare un’attitudine retorica - di cuori che battono all’unisono. Ha scritto Dante Alighieri: ”La concordia è uniforme movimento di più volontà”. Già, questo significa uno sforzo comune, che non va troppo enfatizzato, quando si tratta di raggiungere un risultato che è necessario e doveroso. Viviamo in un mondo difficile ed è bene averne consapevolezza. Non per spaventarci di fronte a questa condizione umana purtroppo per nulla straordinaria. La Valle d’Aosta è piccola e si sta pure restringendo con meno nati e immigrati più o meno recenti che se ne vanno. È chiaro poi come gli elementi identitari debbano fare i conti con un mondo che ci entra in casa e modifica i modi di essere. Il teologo Ermes Maria Ronchi ha scritto: “La mia identità è in divenire perenne. Non ho un'identità da proteggere, ho un'identità da realizzare, un'identità che avanza, che cresce, che evolve. La mia identità di oggi non è più quella di ieri. Chi sono io? Sono le mie idee che ho cambiato, le emozioni che ho avuto, belle o brutte, sono la mia volontà. La mia identità è il comporsi di tutte queste cose, per cui sono braccia che si stendono, non sono radici immobili”. Questo vale anche per una comunità e chi la vorrebbe musealizzare o farne un archetipo intoccabile è realista. Questo vale anche per un movimento politico: chi guarda a modellistiche valide in un passato assai diverso dall’oggi è destinato a perdere il contatto con la realtà. Bisogna essere contemporanei e non nostalgici, oltreché saldamente all’interno del recinto della democrazia. Lo scrittore Raffaele La Capria esprime bene il concetto: “Un'identità forte è una finestra sul mondo, capace di includere in sé anche le altre. Se è debole, invece, si limita a glorificare se stessa, rinchiudendosi nei confini del localismo”. Il localismo è un modo per stare chiusi come prigionieri, situazione neppure tanto rassicurante. Chi mantiene un’identità, pur cangiante nel tempo ma salda, si mostra senza complessi attento al confronto e al dialogo, fiero della propria cultura nell’interesse di conoscere quella degli altri per evitare di diventare un ramo secco.